CIRO FANELLI
VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA
OMELIA
IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
PER LA SESSIONE DI APERTURA DELL’INCHIESTA DIOCESANA
SULLE VIRTU’ EROICHE DEL SERVO DI DIO MONS. VINCENZO COZZI
(Melfi, Basilica Cattedrale, 16 settembre 2023)
Fratelli e sorelle,
Eccellenze Reverendissime,
Mons. Rocco Talucci, Arcivescovo emerito di Brindisi-Ostuni
e Mons. Francesco Sirufo, Arcivescovo di Acerenza e Segretario della Conferenza Episcopale di Basilicata,
Carissimi fratelli presbiteri,
Carissimi diaconi, religiosi e religiose, seminaristi,
pace e gioia a tutti voi!
- Oggi la nostra Chiesa locale sta vivendo un singolare “evento di grazia”: l’avvio della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione di S.E. Mons. Vincenzo Cozzi, che fu Vescovo della nostra Diocesi dal 1981 al 2002. In questa particolare circostanza desidero raggiungere con un saluto grato e cordiale tutti i presenti: voi fedeli, i parenti e gli amici; tutte e singole le autorità presenti di ogni ordine e grado, in particolare i Sindaci di Melfi, di Lauria, di Lagonegro e di Trecchina. E’ doveroso, questa sera, da parte mia e dell’intero collegio dei presbiteri, esprimere la gratitudine a quanti in diverso modo hanno lavorato e pregato perché si giungesse a questo fausto giorno; il mio sincero e cordiale saluto va a S.E. Mons. Sirufo e agli altri Ecc.mi fratelli Vescovi della Chiesa di Basilicata, che pur non presenti fisicamente hanno assicurato la loro convinta e cordiale adesione a questa celebrazione e, in modo speciale, ringrazio sentitamente S.E. Mons. Vincenzo Carine Orofino, in quanto ha espresso il suo consenso affinché la competenza giuridica sulla causa di canonizzazione venisse trasferita dalla diocesi di Tursi-Lagonegro a quella di Melfi-Rapolla-Venosa. La gratitudine ecclesiale va anche ai componenti del Tribunale (don Francesco Distasi, don Francesco Zaccara, Avv. Silvia Anna Petagine, don Davide Endimione), che hanno accolto la proposta di seguire l’indagine diocesana e alla Postulatrice, l’Avv. Anna Teresa Borrelli, che con competenza e puntualità sta accompagnando il complesso iter della causa di canonizzazione di Mons. Cozzi.
- Siamo qui in Cattedrale, questa sera, per celebrare la Pasqua del Signore, l’Eucaristia, pienamente consapevoli che in essa “nasce e rinasce la Chiesa”, sperimentando la verità delle parole della lettera agli Ebrei: Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede (Eb 13, 7-8). Mons. Vincenzo Cozzi è stato per questa Chiesa locale per oltre 20 anni Padre e Pastore, Maestro e Guida, testimone e compagno di viaggio: egli, infatti, in ragione del suo ministero ha annunziato senza stancarsi la parola di Dio ed ha mantenuto sempre in mezzo al suo popolo un tenore di vita esemplare, mostrandosi in ogni situazione animato da una fede robusta. Egli seppe parlare a tutti con la passione dell’apostolo, inculcando in ognuno l’amore alla Chiesa, promuovendo in ogni circostanza un generoso e competente servizio al territorio ed esortando soprattutto con l’esempio alla carità verso gli ultimi.
- La liturgia della parola odierna, a mio parere, illumina questo evento ecclesiale di quella “dolce luce” che ha guidato i passi del ministero sacerdotale ed episcopale di Mons. Cozzi: il Vangelo della riconciliazione. L’evangelista Matteo, infatti, al termine del suo discorso sulla comunità, ci aiuta a comprendere che nella Chiesa non cresce nulla senza la forza dell’amore, che nelle situazioni di conflitto ognuno deve essere pronto a farsi perdono. Vivere le beatitudini, riconoscere i segni del Regno di Dio, avvertire lo slancio missionario, aprirsi all’escathon – afferma perentorio l’evangelista Matteo – non è possibile se non attraverso la mediazione di una comunità che sa perdonare “fino a settanta volte sette”. Il santo, il vero discepolo di Gesù, è colui che vive la dimensione del perdono come prospettiva unificante di tutta la vita: il discepolo di Gesù sa di essere un peccatore perdonato, ma è anche consapevole che la fraternità proclamata nel Vangelo non è utopia, ma realtà concreta che si nutre dell’amore di Dio e diventa arte della riconciliazione, accolta e donata. Gesù, rispondendo alla domanda di Pietro “Maestro, quante volte dovrò perdonare …” , lo conduce – soprattutto attraverso il racconto parabolico – a rendersi conto che la logica umana del calcolo è sempre fuorviante per vivere le cose di Dio e quindi inefficace per comprendere il tipo di relazioni che devono avere i suoi discepoli tra loro.
- “Vivere riconciliati” è la grande meta della comunità cristiana di ieri e di sempre; ma questa è anche la singolare missione che il Cristo Risorto ha affidato alla Chiesa: annunciare il Vangelo della riconciliazione. L’apostolo Paolo, in quanto ministro del Vangelo di Cristo, morto per la nostra riconciliazione, ha fortemente sentito questa urgenza dinanzi alle molteplici lacerazioni che spesso ferivano la comunità e ne rallentavano l’entusiasmo missionario. L’anelito per la comunione ha sempre animato e angustiato anche Mons. Cozzi. Quante volte nelle sue lettere pastorali, nella predicazione, negli incontri personali e, soprattutto, nella preghiera, ha fatto sue le parole di San Paolo: Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20). Cozzi era fortemente convinto che la gioia del cristiano scaturisce dall’ascolto e dall’accoglienza della Buona Notizia della morte e risurrezione di Gesù: il kerygma. Infatti, egli ha sempre insegnato che chi crede in questo annuncio respinge la menzogna secondo cui la nostra vita sarebbe originata da noi stessi, mentre in realtà essa nasce dall’amore di Dio Padre, dalla sua volontà di dare la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Perciò egli scelse per il suo stemma episcopale l’immagine del “pellicano” e la frase di san Paolo Consumerò me stesso per le vostre anime ( 2 Cor 12, 15).
- La strategia del menzognero, il diavolo (cfr Gv 8,45) è tutta diretta ad ostacolare la comunione e la fraternità: egli vuole farci sprofondare nel baratro del non-senso, sperimentando l’inferno già qui sulla terra, come testimoniano purtroppo molti eventi drammatici dell’esperienza umana personale e collettiva. Gesù, nel brano evangelico che è stato proclamato, attraverso la parabola, vuole allontanarci dal campo del nemico, facendoci cogliere la grande differenza di comportamento tra i due creditori. Questa radicale differenza è messa in luce dalla terza scena del racconto parabolico. Quando il re viene a sapere dagli altri servi ciò che ha fatto il servo da lui perdonato, lo fa chiamare e lo apostrofa: Servo cattivo, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo con-servo, così come io ho avuto pietà di te?. Ecco rivelato il fondamento di ogni azione di perdono nella comunità cristiana: l’essere stati perdonati. Il cristiano perdona non per debolezza psicologica o per mantenere equilibri di buon galateo, ma perché sa di essere stato perdonato dal Signore con una misericordia gratuita e preveniente, sa di aver beneficiato di una grazia insperata, per questo non può non fare misericordia a sua volta ai fratelli e alle sorelle, debitori verso di lui.
- Il Vangelo di questa liturgia ci esorta a riconoscere che non solo siamo stati perdonati da Dio, ma che siamo chiamati a perdonare chi ci offende e ferisce. Se uno non sa perdonare l’altro – senza calcoli, senza guardare al numero di volte in cui ha concesso il perdono, e non sa farlo con tutto il cuore – in definitiva non riconosce ciò che gli è stato donato in abbondanza da Dio, non si avvede del perdono di cui è stato destinatario. Dio perdona gratuitamente, il suo amore non è mai meritato, ma va semplicemente accolto come dono e, in una logica diffusiva, esso deve essere esteso e condiviso con gli altri. Alcuni intimi ricorderanno che Mons. Cozzi, proprio spinto da questa logica evangelica, giunse a compiere un gesto inaudito: inginocchiarsi davanti ad un sacerdote per chiedergli perdono qualora lo avesse offeso. Illuminante in tal senso è la bellissima pagina del suo diario spirituale del novembre 2002, quando scrive: Sono lieto, però, o Signore, di poter dire che nel mio lungo ministero, di prete, di parroco e di vescovo, non ho tralasciato di deporre nel cuore dei tanti preti e di innumerevoli fedeli il seme della Chiesa e, perciò, il seme dell’unità …”. Queste note fanno da eco a quasi tutte le sue lettere pastorale e soprattutto alla lettera scritta per l’anno Santo della Redenzione del 5 marzo 1983.
- Il Dio che ci ha rivelato Gesù non fa i calcoli, ma ama senza misura; i veri discepoli del Vangelo, infatti, sull’esempio del Maestro non si lasciano paralizzare nel fare il bene dalla logica del do ut des. La vita di Mons. Cozzi ne è stato un esempio: il Vescovo Cozzi si è lasciato in tutte le sue scelte guidare unicamente dalla carità, vissuta secondo un principio molto semplice e pratico, che San luigi Orione, il gigante della carità del secolo scorso, ha espresso in questo modo: “non fare male a nessuno, fare sempre il bene, farlo a tutti”. Questo principio è il frutto maturo della certezza evangelica che “solo la carità salverà il mondo”. In questa avventura nessuno è esente dalla lotta e dal combattimento. Come Gesù nel deserto, anche il suo discepolo, nel momento di maggiore bisogno e di massima stanchezza, incontra il tentatore che sa farsi presente con ragionamenti apparentemente logici, ma profondamente disumanizzanti. Anche Mons. Cozzi, come Gesù nei quaranta giorni del deserto, è rimasto solo in tanti momenti del suo ministero ed ha provato, fino all’ultimo, come dice san Paolo, angoscia e tribolazione, ma è rimasto saldo nella fede: non si è lasciato ingannare dalla voce menzognera che anche a lui, come a Gesù, prospettava soluzioni plateali rispetto al disagio del momento e alle possibili difficoltà della sua missione.
- Come ogni vero apostolo del Vangelo il Vescovo Cozzi è passato spesso attraverso il crogiuolo delle prove – fisiche morali e pastorali – che cercavano di distoglierlo dalla via indicatagli dal Vangelo, spingendolo a separarsi dall’amore di Cristo, per condurlo a strumentalizzare Dio e a servirsi della Chiesa: egli, invece, si è attaccato sempre più fortemente alla croce di Cristo, si è rivestito di umiltà ed ha creduto fortemente nella legge dell’amore.Negli scritti personali di Mons. Cozzi, scopriamo che la passione per l’evangelizzazione e l’amore alla Chiesa, sono maturati giorno per giorno in questo crogiolo spirituali e ai piedi del Tabernacolo, ma egli ha sempre rafforzato la sua ferma decisione di non volersi distaccare mai dal progetto del Padre; si è sempre sentito chiamato a vivere il ministero, prima sacerdotale e poi episcopale, in modo esemplare, non secondo una logica mondana e populista, ma con stile, direi, “francescano” e crescendo progressivamente nel dono della propria vita: morire per amore.
- Il messaggio di questa liturgia odierna riletto alla luce della figura di Mons. Cozzi ci dice con chiarezza che solo nutrendoci dell’amore di Dio possiamo vivere la fedeltà al nostro Battesimo: Chi dice di amare Dio che non vede e odia il proprio fratello è un bugiardo. Oggi la grande tentazione che dobbiamo sconfiggere ha prevalentemente i tratti della cultura dell’egoismo, che insinua l’illusione che soltanto la “protezione di sé stessi” può dare sicurezza e futuro; questa strategia menzognera non risparmia nulla e nessuno. Questa cultura egoistica e quindi anti-evangelica, però, genera odio e distrugge il valore della fraternità. Nella fede, invece, dobbiamo rinvenire la luce per compiere tutte le scelte della nostra vita sia quelle quotidiane e sia quelle che danno forma stabile alla nostra esistenza: i santi ci insegnano, con il magistero della loro vita, che dobbiamo credere alla Parola del Signore sempre; che dobbiamo seguirlo anche quando il cammino si fa difficile e che dobbiamo abbandonarci con fiducia e amore nelle sue mani. Mons. Cozzi ha camminato su questa strada, attingendo molto dalla “spiritualità francescana”; la povertà e l’amore per i poveri erano per lui “la siepe” che doveva custodire il suo amore per il Cristo povero e crocifisso; egli, proprio perché sostenuto da questa ricca spiritualità, è stato in mezzo al suo popolo il Padre buono, il fratello affidabile e l’amico sincero. La regola della sua vita era tutta racchiusa nella semplicità evangelica che ritroviamo espressa nella preghiera semplice di Francesco di Assisi e che egli consentivano di mostrare sempre sul suo volto una radioso e contagioso sorriso.
- Questo stile gli ha consentito di vivere in maniera eroica la carità pastorale e al tempo stesso il difficile governo della diocesi, che però egli ha sempre amato di vero amore sponsale. Infatti, l’amore che egli ha mostrato nei confronti della Chiesa diocesana ha anche dato forma a tutta la sua spiritualità, fino all’ultimo istante della sua vita, specialmente quando fu segnata dalla sofferenza fisica. Mons. Cozzi e la “sua” Chiesa di Melfi-Rapolla-Venosa oggi, con questo atto ecclesiale altamente significativo, l’avvio del processo in vista della sua canonizzazione, dimostrano che la santità intesa in questo caso come “forma alta” di servizio pastorale non solo è possibile ma esiste. Forse Mons. Cozzi, non ha fatto cose eclatanti ed eccezionali nel corso della sua vita e del suo ministero, ma indubbiamente è stato costante e fedele nei doveri del proprio stato, non cedendo mai alla stanchezza e alla ripetitività; la monotonia non ha mai attaccato l’esercizio del suo ministero episcopale, soprattutto in un tempo in cui bisognava incarnare, anche in modo profetico, le istanze del Concilio Vaticano II e in momento difficile per la Basilicata, quale era quello del dopo terremoto. Egli è stato, da cristiano e da Vescovo, veramente un “santo della porta accanto”, che ha fatto le cose ordinarie in modo straordinario, mai sfiduciato anche se le difficoltà incalzavano. Di Mons. Cozzi, si potrebbe dire ancora tanto, ma questa sera voglio soltanto sottolineare un aspetto: Egli rispetto alla Chiesa di Melfi-Rapolla-Venosa ha vissuto quanto il Vangelo dice di Gesù: avendo amato i suoi… li amò sino alla fine (Gv13,1). Il sacrificio pastorale di questo amato e venerato Pastore, per il quale oggi iniziamo la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione, testimonia che solo chi ha il coraggio di donarsi totalmente – a Dio e al prossimo – realizza se stesso.
- La logica del perdono mentre ci rivela innanzitutto che Dio è amore, ci indica la via per la nostra felicità; essa deve spronarci ad essere fedeli al nostro battesimo, vivendo riconciliati e rimanendo fedeli alle nostre scelte di vita. Non temiamo, dunque, di affrontare anche noi il buon combattimento della fede: il Signore è sempre con noi.
E per essere sicuri di stare sempre uniti a Lui rivolgiamoci alla Vergine Maria, che ieri abbiamo Venerato come l’Addolorata, la Vergine della nuova alleanza: invochiamola con fiducia filiale sempre e in modo particolare nell’ora della prova, e Lei, con la sua tenerezza materna, ci farà sentire la potente presenza del suo Figlio divino, per farci credere sempre di più nel valore della fraternità, così da rimettere Dio al centro della nostra vita. Amen
+ Ciro Fanelli
Vescovo