La parola N. 4 giugno 2024

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L’articolo del Vescovo

L’Eucaristia luogo di santità ospitale

Nell’Eucaristia la comunità pasquale riconosce la presenza viva del Signore Risorto come il pane di vita eterna e il pane disceso dal cielo, che rende ogni discepolo capace di vivere secondo lo stile evangelico, divenendo pane spezzato per gli altri. La nostra Chiesa diocesana, per il prossimo anno pastorale, intende crescere nella santità ospitale che l’Eucaristia significa e genera.

Questo cammino ecclesiale può diventare concreto e visibile nella misura in cui l’Eucaristia diventa sempre più ciò che essa è: il cuore pulsante della vita cristiana, il culmine e la sorgente della vita e della missione della Chiesa. Questa affermazione conferma la convinzione di San Giovanni Paolo II secondo il quale la comunità cristiana e il mondo hanno grande bisogno dell’Eucaristia. Infatti, per un discepolo del Risorto parlare di Eucaristia significa parlare di Gesù stesso e della sua vita donata per noi.

Per questa ragione ogni celebrazione eucaristica è sempre un invito rivolto alla comunità e ai singoli battezzati a condividere fino in fondo l’umano, luogo generativo di una pastorale realmente inclusiva e sinodale che aiuta a camminare insieme e che valorizza i carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno. In questo modo, la comunità eucaristica diventa scuola di santità ospitale ovvero spazio relazionale e sacramentale dove si deve imparare gli uni dagli altri l’arte evangelica del servire per amore.

L’azione pastorale deve trovare nell’Eucaristia la forma del suo dinamismo missionario e caritativo. L’Eucaristia celebrata nel giorno del Signore è l’invito permanente ai fedeli, nutriti dei sacramenti pasquali, a vivere in perfetta unione e rendere visibile la carità di Cristo. L’urgenza di assimilare questa prospettiva dinamica e comunitaria dell’Eucaristia è avvalorata anche dalla recente Lettera apostolica di Papa Francesco sulla formazione liturgica del popolo di Dio, Desiderio desideravi. Il Papa sottolinea questa duplice prospettiva quando scrive: “invito tutta la Chiesa a riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza della celebrazione cristiana. Vorrei che la bellezza del celebrare cristiano e delle sue necessarie conseguenze nella vita della Chiesa, non venisse deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia (cfr. nn. 16-17). L’Eucaristia intesa come luogo di santità ospitale è non solo il paradigma della sinodalità vissuta sacramentalmente, ma getta anche luce sulle dimensioni essenziali della Chiesa: il cammino dei discepoli, l’incontro con il Risorto, l’ascolto delle Scritture, illuminate dal mistero pasquale, l’accoglienza del forestiero, la frazione del pane, la missione il confronto con gli apostoli.

L’Eucaristia ricorda anche che è possibile crescere in umanità solo quando si diventa capaci di amare con Cristo e come Lui. È in questa verità esistenziale che vanno accolte le parole di Gesù: “Fate questo in memoria di me”. Esse sono un invito a rendere presente, nella vita, l’amore di Cristo per noi; a rivivere, nella nostra povera umanità, la capacità di farsi dono per gli altri. La Chiesa ha sempre guardato all’Eucaristia come al sacramento della sua rinascita spirituale e pastorale, perciò il nostro tema diocesano: “Nell’Eucaristia nasce e rinasce la Chiesa”. Papa Francesco in occasione del Congresso Eucaristico di Matera ha ribadito questa centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa dicendo: “Innanzitutto, l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio. (…) Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io. (…) Quando invece adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucaristia, riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita: io non sono le cose che possiedo o i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato, ognuno di noi è un figlio amato; io sono benedetto da Dio; Lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero, mi vuole libera da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno: è libero”, libero per amare e servire con gioia e umiltà.

+ Ciro Fanelli

Vescovo