A CHIUSURA DEL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

Melfi, 19 novembre 2016
 
 Ai Presbiteri, ai Diaconi,
alle Religiose e ai Religiosi, alle Consacrate,
ai Seminaristi, ai Fedeli Laici
della Chiesa che è in Melfi – Rapolla – Venosa.
 
Sorelle e Fratelli in Cristo,
con la Solennità di Cristo Re si chiude ufficialmente il Giubileo della Misericordia.
Come tanti altri eventi ecclesiali, il rischio che si corre è quello di “mettere in soffitta”, nello scrigno dei ricordi, anche questo momento straordinario di grazia che ci ha fatto riscoprire la bellezza e l’importanza del dono della misericordia, “architrave che sorregge la vita della Chiesa” (Misericordiae Vultus 10).
Possiamo mettere da parte ciò che è “fonte di gioia, di pace e di serenità”, non solo per noi ma anche per la Chiesa e il mondo intero? Possiamo, come ci ha ricordato Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo, rinunciare a ciò che è “la via che unisce Dio e l’uomo, oppure rinunciare alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato?” (MV 2).
Il segreto per non lasciarci rubare questo dono di inestimabile valore per la vita cristiana sta nell’accogliere con fiducia “la gioia del Vangelo, che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (Evangelii Gaudium 1). Gioia che scaturisce dall’amore misericordioso di Dio che “desidera il nostro bene e vuole vederci felici” (MV9), e che, sull’esempio dei discepoli di Gesù, ci invita ad “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20).
Come ci ricorda Papa Francesco, “la Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano” (EG24).
Cosa possiamo fare perché il Giubileo della Misericordia lasci una traccia indelebile nella nostra vita e in quella della Chiesa?
Basta girarsi attorno per scoprire quante persone hanno bisogno di chi generosamente si offra di “dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellite i morti”.
Mentre le povertà materiali balzano facilmente agli occhi, quelle spirituali si riconoscono più facilmente con gli occhi della fede: “consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti”.
Le opere di misericordia, che molti di noi hanno riscoperto durante quest’anno giubilare, ci danno la spinta ad uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane. Sono la carta d’identità del discepolo-missionario che non si lascia condizionare dalle “consuetudini, gli stili, gli orari” o dal rischio di “sporcarsi con il fango della strada”, perché ha compreso molto bene che, senza i piccoli e concreti gesti di amore, di attenzione, di accoglienza, di comprensione verso gli altri, non si può assaporare la gioia della misericordia, “la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita” (MV 2).
Come acquisire la capacità di riconoscere la presenza di Cristo nel fratello povero o bisognoso di aiuto?
Innanzitutto rimettendo al centro della nostra vita e dell’attività pastorale la Parola di Dio non solo letta ma anche scrutata e vissuta. L’ascolto – obbediente della Parola di Vita ci permette di comprendere che la misericordia è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi che “non si limita ad affermare il Suo amore ma lo rende visibile e tangibile” (MV 9).
È la Parola di Dio a illuminare i nostri pensieri, a riscaldare i cuori e a spingerci verso chi ha più bisogno di noi. Concretamente, sotto la direzione del Parroco e la coordinazione della Caritas parrocchiale e dei Centri di Ascolto, la prima cosa da fare è “la mappatura delle fragilità e delle povertà materiali e spirituali” presenti nel nostro vicinato e/o nei luoghi che abitualmente frequentiamo. A differenza di chi si rivolge alla Caritas per un aiuto economico (cibo, vestiario, contributo per le bollette della luce, gas, telefono), le altre forme di fragilità e povertà difficilmente vengono alla luce. Per tal motivo è necessario uscire all’incontro di questi fratelli e sorelle che spesso non chiedono neppure aiuto, perché strette dalla morsa del dolore e della sofferenza.
Sapremo raccogliere la sfida che l’Anno giubilare ci ha lanciato – essere misericordiosi come il Padre del Cielo – impegnandoci ad andare incontro a tutti, cercando con umiltà e pazienza chi è lontano? Sapremo dare realmente alla nostra comunità ecclesiale la forma di un’esperienza di fraternità perché non appaia come un’azienda o un’agenzia di servizi in cui si lavora con impegno ma senza comunione?
In diocesi abbiamo 29 aggregazioni laicali e 13 Confraternite. Un esercito a servizio del prossimo. Lavorando insieme per la stessa finalità – portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé stesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati (MV 16) – significa rendere di nuovo visibile la predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth attraverso le risposte di fede che la testimonianza dei cristiani è chiamata ad offrire, facendo tesoro delle parole dell’Apostolo Paolo: «Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,8).
Vi accompagnino sempre la benedizione del Signore e la protezione della Beata Vergine Maria, Madre di misericordia.
+ Gianfranco TODISCO