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LETTERA DI MONS. FANELLI AI SACERDOTI

IN OCCASIONE DEL GIOVEDI' SANTO 2020

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

LETTERA AI SACERDOTI

IN OCCASIONE DEL GIOVEDÌ SANTO 2020

 

Carissimi fratelli presbiteri, diocesani e religiosi,

Vi scrivo questa lettera, oggi Mercoledì Santo  – nell’ora in cui avremmo dovuto celebrare la Messa del Crisma –  per unirmi spiritualmente a ciascuno di voi e per condividere alcuni pensieri sul sacerdozio e sul mistero grande della nostra Fede, la Pasqua del Signore, che, quest’anno, celebreremo in modo insolito e sofferto, nel rispetto delle misure sanitarie che ci impongono di celebrare anche il Triduo Pasquale “senza popolo e con le porte delle nostre chiese chiuse”.

Vi scrivo alla vigilia del Giovedì Santo, giornata sacerdotale per eccellenza, soprattutto per dirvi ancora una volta tutta la mia vicinanza fraterna, il mio incoraggiamento e la mia stima grata.

Come già vi ho comunicato precedentemente, quest’anno la Messa Crismale, di comune accordo con i confratelli Vescovi di Basilicata, è rinviata: la celebreremo, infatti, non appena si concluderà questo periodo di grave emergenza sanitaria, che sta diventando, purtroppo, anche emergenza economica e sociale.

Tutti desideriamo che questo tempo di prova si possa concludere quanto prima; il comune desiderio che la pandemia possa cessare sia trasformato sempre di più in una intensa preghiera di intercessione alla Divina Misericordia per mezzo del Cuore immacolato e addolorato di Maria.

La Liturgia del Giovedì Santo, con le parole e i gesti sacramentali, ci fa rivivere l’ultima Cena di Gesù: mistero dell’umiltà di Cristo e del suo amore per noi nella lavanda dei piedi; testamento del suo comandamento nuovo di amarci gli uni gli altri come egli ci ha amato; memoriale dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio per rendere presente fino alla sua venuta il sacrificio della nuova Alleanza.

Nella celebrazione della Messa nella Cena del Signore, che apre il Triduo Pasquale, tutti faremo memoria del giorno della nostra Ordinazione sacerdotale. Ricorderemo anche il cammino vocazionale che ad essa ci ha condotto, che per ognuno di noi assume il volto delle tante persone – dai nostri genitori agli educatori – che ci hanno accompagnato nelle diverse tappe della nostra vocazione sacerdotale. La decisione per il Signore, fatta in piena libertà e con il desiderio di servire la Chiesa, è una scelta che è per sempre, perché fondata sulla fedeltà di Dio! E’ una decisione di vita irrevocabile dinanzi a Dio, che ogni giorno sentiamo il bisogno di rinnovare; l’esigenza di rinnovare le promesse sacerdotali sgorga spontaneo dal nostro cuore soprattutto nel giorno del Giovedì Santo; la decisione vocazionale per il sacerdozio, in quanto scelta di seguire Cristo,  povero, casto e obbediente, evoca sempre anche la gioia, che non deve spegnersi nel nostro cuore neppure nei giorni bui o difficili, quando siamo chiamati ad attraversare le valli oscure della nostra vita presbiterale.

Quest’anno la celebrazione del Giovedì Santo, purtroppo, non ci farà sentire la vicinanza calda e confortante del nostro popolo, delle famiglie, dei bambini, dei giovani e dei nostri cari anziani, sempre presenti e non è stata preceduta dalla gioia di incontrarci come presbiterio attorno all’unica mensa eucaristica, circondati da tutte le componenti del popolo di Dio, per rinnovare comunitariamente gli impegni assunti con la sacra Ordinazione e per accogliere gli Oli santi, con i quali ungere il nostro popolo, anch’esso partecipe dell’unico sacerdozio di Cristo.

Domani tutti celebreremo fondamentalmente da soli, come stiamo facendo già da un mese, anche se affiancati da qualche figura ministeriale. Celebreremo da soli, ma non in solitudine! La Chiesa, popolo di Dio, infatti è sempre spiritualmente viva e presente; essa è presente sempre, sia pure in modo non visibile, in ogni celebrazione dei divini misteri.

Questo tempo di prova, per ragioni di giustizia e di carità pastorali, deve farci sentire moralmente impegnati ad essere – come afferma sant’Agostino – “la coscienza vigile dei fedeli”. Questa espressione di sant’Agostino intende richiamare la necessità di non aver timore o ritegno di abbassarci – in ogni modo – a livello degli umili e semplici, scelti e prediletti da Dio (cfr. Mt 11, 25) pur di condurli all’intimità con il Signore. “I sacerdoti, diceva s. Faustina nel suo Diario – sono ceri accesi per illuminare le anime”.

La celebrazione del Giovedì Santo ci ricorda che la comunione è la sostanza del nostro ministero. Essa è anche il vero aiuto alla nostra vocazione sacerdotale in ogni sua implicanza sacramentale, pastorale e affettiva. La comunione è certamente un dono del Signore, ma è anche un’esigenza legata al sacramento dell’Ordine e un compito affidato all’impegno generoso di ognuno! Nella celebrazione della Messa nella Cena del Signore Gesù ci dona nuovamente questo grande dono. La Chiesa raccomanda sempre a tutti i sacerdoti, in quanto ministri dell’Eucaristia, di vivere questa tensione comunionale non solo in modo funzionale o formale, ma come vero segno dell’amore a Cristo, alla Chiesa e ai confratelli nel presbiterio.

La celebrazione della Pasqua, per noi come per i primi discepoli, è anche attesa dello Spirito, unica sorgente di ogni dono di grazia. Lo Spirito va invocato sempre nella certezza che Egli è donato, se si ama la Chiesa, se si è compaginati dalla carità. Sant’Agostino, dall’alto della sua dottrina, affermava con forza: “Siamo convinti o fratelli – diceva –   che uno possiede lo Spirito Santo nella misura in cui ama la Chiesa di Cristo?”. Il Vaticano II nel promuovere la santificazione dei presbiteri l’ha chiaramente ancorata all’esercizio del ministero, ma essa non si dà efficacemente se non nella piena comunione ecclesiale e nella fraternità presbiterale.  Il presbitero, sull’esempio di che ha dato tutto di sé amandoci di amore eterno, deve darsi tutto nel servizio pastorale per l’edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa. La celebrazione quotidiana dell’Eucaristia è la fonte e il culmine di una vita sacerdotale che vuole configurarsi a Gesù sommo ed eterno sacerdote.

Proprio pensando alla celebrazione eucaristica e al nostro ministero, voglio condividere fraternamente con voi una riflessione, che mi sta accompagnando in questi giorni. La nuova edizione in italiano del Messale Romano, approvata dai Vescovi nell’Assemblea di novembre 2018, è un evento che non mancherà d’interpellarci a livello liturgico. In particolare, ci porterà ad interrogarci ancora sulla effettiva recezione della riforma liturgica nella nostra Chiesa a più di cinquant’anni dal Concilio. Tra i diversi aspetti, desidero richiamare alla vostra attenzione l’esigenza di ridare un chiaro significato teologico-pastorale ai cosiddetti “fuochi liturgici” presenti nella zona absidale di un’aula liturgica, ovvero l’altare, l’ambone, la sede. Soffermandomi sulla “sede presidenziale” mi domandavo: io, nel mio ruolo di presidente dell’azione liturgica, colgo e faccio comprendere alla comunità il valore teologico della “sede presidenziale” dalla quale presiedo l’Eucaristia e guido le altre celebrazioni liturgiche?

La “sede”, probabilmente, rispetto agli altri fuochi liturgici, l’altare e l’ambone, non riceve sempre una particolare considerazione teologica e pastorale, se non in una prospettiva funzionale. La sede, nell’assetto liturgico di una Chiesa, è la “cattedra”. Gesù nel Vangelo di Matteo, in analogia alla “cattedra” di Mosè, ne parla in relazione agli scribi e ai farisei (Cfr. Mt 23, 16), ammonendo i suoi discepoli a fuggire da ogni forma di ipocrisia e di prevaricazione, tipiche di chi ama sedersi in cattedra per primeggiare e sovrastare sugli altri. Per Gesù la sua stessa vita è l’unica luce per guardare a tutte le “cattedre” nella comunità cristiana. Infatti i punti prospettici da cui guardare l’ufficio del presiedere all’interno della comunità è duplice: uno dal basso o uno dall’alto. La prospettiva dal basso è quella di chi lava i piedi (cfr. Gv 13, 1 -15) quella dall’alto, è la prospettiva di chi è sulla croce (cfr. Fil 2, 5-8). Questa luce dà forma al servizio dell’autorità nella Chiesa. Infatti, la “cattedra” dalla quale Gesù si è pienamente manifestato come il vero Pastore e la guida del suo popolo è la croce (cfr. Gv 12, 24-26; 32-33).

Noi siamo chiamati ad offrire il nostro servizio di presidenza a favore della comunità soltanto nel nome di Cristo e con il suo stile. Il nostro presiedere è sempre un servire.

C’è una bellissima preghiera del santo card. Newman, che potremmo fare nostra non solo nei giorni del Triduo Pasquale, perché può aiutarci a vivere nella carità di Cristo il servizio di presidenza liturgica e pastorale delle nostre comunità:

“Signore Gesù, nel prendere possesso di questa sede, chiedo a te che anzitutto tu prenda possesso di me al punto che ogni persona che accosto possa sentire la tua presenza in me. Rimani in me, Signore. Allora risplenderò del tuo splendore e potrò fare luce per gli altri, con lo sfolgorare visibile dell’amore che il mio cuore riceve da te”.

Questa preghiera del card. Newman è un chiaro invito per noi Pastori a fare del nostro ministero un progressivo crescere nella carità totale e gratuita (cfr. Fil 2,21) e a cercare unicamente le cose di Gesù Cristo. Ogni giorno, infatti, mi ricordo nella preghiera personale, quasi come invito ad un permanente esame di coscienza, delle parole di sant’Agostino: “non siamo vescovi per noi, ma per coloro ai quali dispensiamo la parola e il sacramento del Signore”. E ancora: “mentre mi sgomenta ciò che sono per voi, mi conforta ciò che sono con voi. Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano: quello è il titolo di un impegno ricevuto, questo invece titolo di grazia; quello fonte di pericolo, questo fonte di salvezza”.

Il pastore – ogni pastore nella Chiesa – è chiamato a testimoniare il suo amore a Cristo prendendosi cura del gregge non per vile interesse ma di buon animo e facendosi modello del gregge (1 Pt 5, 1-4). Così, il pastore, unito a Cristo si nutrirà del nutrimento stesso di Cristo e con esso alimenterà il suo gregge. Questa è la carità che viene chiesta al Pastore.

Facciamo nostre le parole del santo vescovo di Ippona: “per voi siamo come dei pastori, ma, sotto quel pastore, siamo con voi delle pecore. Da questo posto, siamo per voi come dei maestri, ma, sotto quell’unico Maestro, in questa scuola siamo vostri condiscepoli”.

Tutti noi, fratelli carissimi, soprattutto in questi giorni santi del Triduo Pasquale, dove ci è detto con chiarezza dalla Liturgia che il nostro ministero non è una funzione, ma nasce e si regge come unzione, avvertiamo nella nostra coscienza il timore d’essere pastori e percepiamo nel fondo dell’anima la gioia di essere cristiano (cfr. A. Trapè, Il sacerdote uomo di Dio al servizio della Chiesa, Roma 19852, 128).

Facciamo, quindi, sgorgare dal nostro cuore un grande inno di lode alla Misericordia di Dio per il grande dono del sacerdozio che ci è stato fatto mediante la sacra Ordinazione. Da quel giorno, e per sempre, il Signore si è fidato di noi e si è affidato a noi. La Chiesa, a sua volta, obbediente al comando del Signore, attraverso il rito dell’Ordinazione, ha posto tra le nostre fragili mani il grande mistero dell’Eucaristia, il Corpo sacramentale del Signore, e il grande Mistero della Chiesa stessa, il Corpo mistico di Cristo!

Proprio per queste ragioni e per esprimere anche attraverso un segno visibile la profondità del mistero di comunione che ci lega e ci pone a servizio di tutto il popolo santo di Dio che è in Melfi-Rapolla-Venosa, vi invito ad unirvi a me, domani Giovedì Santo, nel condividere, privatamente, nelle nostre chiese (a porte chiuse) un’ora di adorazione eucaristica, dalle ore 11,00 alle 12,00. Invitiamo anche i nostri fedeli ad unirsi a noi, da casa, a questa preghiera di adorazione eucaristica sacerdotale e per tutti i sacerdoti. L’adorazione che guiderò dalla Cappella dell’Episcopio di Melfi, come per tutte le celebrazioni in questo periodo di pandemia, sarà trasmessa in diretta sul profilo facebook Palazzo Vescovile Melfi e su Radio Kolbe.

Carissimi, approfitto di questa circostanza per farvi avere, in allegato a questa mia lettera, un bellissimo testo di Papa Benedetto XVI, l’omelia che egli pronunciò il 29 giugno 2011, in occasione dei suoi 60 anni di sacerdozio. Papa Benedetto, in quella circostanza ha offerto una bellissima riflessione a partire dalle parole dell’evangelista Giovanni “Non vi chiamo più servi, ma amici” (Gv 15, 15). Accludo l’omelia a questa mia lettera, per una vostra lettura spirituale; ve la segnalo semplicemente perché è molto bella e ricca di spunti. A me ha fatto tanto bene.

In questo Giovedì Santo, spiritualmente uniti al popolo santo di Dio, che è stato affidato alle nostre cure, ringraziamo il Signore per il dono del Sacerdozio ministeriale, dell’Eucaristia e del comandamento nuovo!

Carissimi,

Vi assicuro che porterò sull’altare voi stessi, le vostre comunità, le gioie e le sofferenze di ciascuno di voi. Unitevi a me con la preghiera e con l’ascolto della Parola di Dio e gusteremo la gioia che “pur essendo molti siamo un solo corpo in Cristo” (Rm 12,5).

I giorni del Triduo pasquale devono spronarci a vivere questo momento di difficoltà nel silenzio interiore per “rientrare in noi stessi” e riappropriarci dell’essenziale della nostra vita sacerdotale, a prescindere dalle circostanze e dagli eventi. Questo deve essere il tempo di una “rinnovata speranza”. Solo la Speranza che nasce dalla Risurrezione può dare – sempre e a tutti – il coraggio di operare e di proseguire nel nostro impegno di edificare la Chiesa. Si tratta di una “speranza certa” – come dice san Francesco – quella di cui parliamo, perché Gesù Risorto ha distrutto la morte e ha vinto il male: Egli, morto in croce per amore e risorto per la nostra santificazione, è l’unica speranza del mondo: ieri oggi e sempre. Sia questa la ragione ultima di ogni sforzo e impegno spirituale e pastorale; sia anche questa la motivazione profonda per il tempo della ripresa, che ci auguriamo possa iniziare quanto prima.

Ho apprezzato molto che, nei giorni di “clausura forzata” impostici dall’emergenza sanitaria, ognuno di voi, nelle forme e nelle modalità che ha ritenuto più opportune, si sia sforzato di essere accanto alla propria comunità. Consentitemi un ricordo particolare ai più anziani tra noi: si sentano pensati e voluti bene. Non scoraggiamoci!  Non lasciamoci rubare la speranza. Prepariamoci a ripartire con entusiasmo e ad aiutare la gente a ripartire bene. Teniamo monitorato il tessuto sociale e relazionale delle nostre comunità: le eventuali tensioni, le possibili situazioni di disagio e le emergenti difficoltà economiche. Ripartire significherà sicuramente riprendere programmazioni e quant’altro, ma ripartire deve significare soprattutto puntare sulla carità sia nel senso di solidarietà e sia nel senso di ascolto, vicinanza, pazienza e comprensione.

Concludo, con un augurio cordiale e un grazie sincero, a tutti e a ciascuno perché ci siete e perché mediante le vostre persone, le vostre fatiche e le vostre sofferenze, il Signore continua a prendersi cura del suo popolo, che ha redento a prezzo del suo Sangue prezioso.

Il Signore ci benedica e ci faccia gustare in Lui, oggi e sempre, la gioia del Sacerdozio.

Melfi, 8 aprile 2020 – Mercoledì Santo

Ciro Fanelli
Vescovo

#chiciseparera

La solitudine di Gesù nella Passione

RIFLESSIONI DI MONS. FANELLI PER LA DOMENICA DELLE PALME

Carissimi,

 Un disegno di salvezza e un progetto d’amore

  1. “Ora si compie il disegno del Padre, fare di Cristo il cuore del mondo”: queste parole di una delle antifona della Liturgia delle Ore ci aiutano a cogliere negli eventi della vita di Cristo un disegno di salvezza (cfr. Ef 3, 5 e ss), che è un progetto d’amore (cfr. Gv 3, 16) che abbraccia la vita di tutti gli uomini di tutti i tempi (cfr. Ef 1, 3) e che raggiunge anche la nostra generazione duramente provata dalla pandemia.

Ci raggiunge in un tempo di grande dolore per le tante vittime e di preoccupazione sia per il numero elevato dei contagi e sia per la difficile situazione in cui si trovano tante famiglie che vedono diminuire la sicurezza del lavoro (cfr. EG 192).
Con questa celebrazione – che a causa delle restrizioni imposte per contenere la pandemia stiamo vivendo con grande sofferenza senza concorso di popolo –   entriamo nei giorni “santi” della passione in cui Dio, nel suo Figlio Unigenito, muore affinché tutti gli uomini abbiano, già su questa terra, la gioia della vita vera (Gv 10, 8; 15, 11).
I giorni della passione – forse anche perché celebrati in questo contesto surreale creato dalla pandemia –   sono i giorni in cui mi ritornano alla mente, con particole stridore, le parole del folle di cui parla il filosofo Nietzsche in “Gaia scienza” che si illudeva di veder nascere dalla morte di Dio, l’uomo nuovo, il super uomo. Così dice il filosofo:
“In un luminoso mattino il folle piomba in piazza del mercato con la sua lampada gridando: «Dov’è andato Dio? Noi lo abbiamo ucciso, voi e io!… Le nostre mani grondano del suo sangue. Non sentite il lezzo della sua putrefazione? Dio è morto e resterà morto!… Chi uccide Dio diventerà Dio lui stesso!”.
Dio è morto, dice il folle! Ma le sue parole, mentre pretendono – illudendosi – di affermare e inaugurare definitivamente la morte dell’idea di Dio o della possibilità di pensarne l’esistenza, in realtà annunciano una vera tragedia legata ad un’altra verità, che l’uomo purtroppo sperimenta ogni qualvolta cancella deliberatamente Dio dal suo orizzonte: quando si cancella Dio si apre la via all’auto-distruzione dell’uomo stesso! Tanto che si può affermare con il riscontro della storia che uccidere Dio è il più terribile dei suicidi, in quanto dove Dio muore, muore l’uomo (R. Cantalamessa). Dio, infatti, muore ogni qual volta l’uomo, ogni uomo, è calpestato nella sua dignità!

La cronaca di una tragica morte e l’annuncio di salvezza

  1. L’evangelista Matteo nel lungo racconto della Passione, se da una parte è attento ad offrirci la verità storica di fatti della passione e morte di Gesù, ovvero la fedele narrazione delle circostanze della crocifissione, dall’altra vuole mostrarci che questa verità storica è strettamente legata all’annuncio di salvezza e di misericordia che sta al centro del cristianesimo. Il racconto della Passione è, infatti, il grande kerigma d’amore e di grazia manifestato da quei tragici fatti realmente accaduti a Gesù nella città santa di Gerusalemme sotto Ponzio Pilato.

Il racconto della Passione è sia annuncio del kerigma di salvezza e sia manifestazione e rivelazione del vero senso della storia; al centro del messaggio cristiano c’è la certezza che è Cristo crocifisso che guida la storia, anche la nostra storia, nel qui ed ora di questo tempo di pandemia, caratterizzato da dolore, paura e preoccupazione.
La morte di Gesù è una morte infamante, premeditata e deliberata. Gesù giunge a questa morte in una profonda solitudine: egli è solo; solo in balia di soldati, che contro di lui sfogano tutta la loro rabbia e la loro crudeltà.
Ma la crocifissione non è mai presentata dai Vangeli come un evento tragico che Gesù subisce passivamente! Egli, rappresentante dell’umanità umiliata e offesa, va liberamente verso la morte, offrendo la sua vita innocente in riscatto per tutti, quale segno di adesione totale alla volontà del Padre e di amore per l’umanità.
Gesù muore per la nostra salvezza: nessuno gli toglie la vita, ma è Gesù stesso che la offre da se stesso, perché egli ha il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo (cfr. Gv 10, 18). Il verbo offrire è la “cifra” per comprendere la sua morte. Nel suo morire Gesù realizza pienamente la sua missione di pastore di Israele: proprio attraverso l’immolazione della croce “egli si rivela come il vero pastore: “Io sono il buon pastore… Io offro la mia vita per le pecore”, dice Gesù di se stesso (Gv 10, 14 e ss.). “Ma Gesù va oltre, egli, il Dio vivente, è divenuto lui stesso agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati e uccisi” (cfr. Benedetto XVI, Omelia in occasione della santa messa per l’inizio del ministero petrino di vescovo di Roma, 24 aprile 2005).

 Sequenze di una morte violenta

  1. Il racconto della passione secondo Matteo è scandito in sette sequenze che fotografano gli snodi essenziali del drammatico e perverso gioco a cui Gesù fu sottoposto dal potere giudaico, da Pilato e – quasi in un crescendo di incoscienza – dalla folla di Gerusalemme, che lo aveva accolto osannante.

Ecco le sette sequenze:

  • I trenta danari: il prezzo di un tradimento e di una ingiustizia;
  • La cena, l’ultima, che ha sulla mensa il pane delle parole dette da Gesù, che sono più di un testamento, sono rivelazione di senso e profezia di vita nuova;
  • Il Getsemani: luogo della preghiera e del dolore, ma soprattutto luogo della decisione;
  • Il Sinedrio, teatro di un potere religioso, corrotto e compromesso, che mette in scena una cinica farsa orchestrata contro la verità e la misericordia;
  • Il tribunale di Pilato, spazio della vigliaccheria elevata a difesa di un potere di menzogna e di ingiustizia;
  • La crocifissione, la morte violenta di un uomo giusto nella solitudine e nell’abbandono più profondo;
  • La tomba, che fa paura a chi costruisce il suo potere sulla menzogna, sulla corruzione e sulla violenza.

 Gesù solo, ma libero
4. La narrazione della passione è il racconto della morte violenta e cruenta del Maestro di Galilea, uomo giusto e innocente; lasciato solo, da tutti; ma la morte di Gesù di Nazareth è una morte che, per le modalità con cui Gesù l’ha accolta ed offerta, ha cambiato il volto della morte (R. Cantalamessa). Questa è la ragione per la quale, fino alla consumazione dei secoli, la morte di Gesù verrà sempre ricordata, nonostante le nostre umane banalizzazioni e superficialità che, purtroppo, ci caratterizzano nell’approccio a questo grande mistero.
La morte di Gesù è il momento più alto di senso e di autoconsapevolezza della sua vita; quella tragica morte trova piena luce solo dalla sua stessa vita: dalle sue parole e dalle sue opere. L’uomo crocifisso è, infatti, colui che ha rivelato che Dio è Padre, che Dio è amore; quel crocifisso è l’uomo che “passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10, 38), è il Maestro che con la sua parola e con le sue opere ha aperto all’umanità la porta della vera vita e della gioia piena (cfr. Gv 10, 8; 15, 11) ed ha “donato” ai suoi discepoli il grande comandamento dell’amore (cfr. Gv 15, 12).
Gesù nelle ore della passione è presentato dagli evangelisti come l’uomo lasciato solo. Egli è solo già nel momento in cui viene accolto trionfalmente dalla folla di Gerusalemme. La solitudine di Gesù è il filo rosso che attraversa tutti i momenti della passione.
Ma perché Gesù è solo?
Egli è solo innanzitutto perché sente l’amarezza del tradimento da parte dei suoi discepoli, a cui egli non ha fatto mai mancare nulla e che aveva amato sempre con la tenerezza e la premura di una madre. Infatti, Gesù viene tradito proprio da coloro che egli aveva curato come un buon pastore, che stringe al suo petto le pecore del suo gregge, specialmente quelle ferite e deboli. In questa amara solitudine Gesù si è lasciato accompagnare dalle parole del salmo: Anche l’amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno” (Sal 40, 10).
Gesù è solo, anche perché sente gravare sulle sue spalle innocenti il macigno dell’ingiusta condanna.
 Ma Gesù è solo anche perché avverte l’ingratitudine di tutti, che ha trasformato gli amici e i confidenti in avversari: “amici e confidenti, hanno levato il calcagno contro di Lui; se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa” (Sal 54,15).

 La solitudine di Gesù ci coinvolge e ci interpella

  1. La solitudine di Gesù nelle ore della Passione non è soltanto storica e psicologica, ma è anche una solitudine “mistica”, che ci coinvolge e ci interpella. Questa solitudine mistica di Gesù deve essere colmata dalla posizione che noi oggi assumiamo rispetto alla sua croce! La croce che accoglie “l’uomo dei dolori” invoca accanto sé la consolante presenza di amici veri perché è gesto supremo di amore gratuito: “ Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.  Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi!” (Gv 15, 13-15).

La vita cristiana è nella sua essenza più profonda intimità con Cristo; essa cresce e si rafforza nella misura in cui questa intimità con Gesù genera gli atteggiamenti contrapposti a quelli che hanno determinato la tragica solitudine della passione: la fedeltà, la giustizia, la gratitudine.
Questa dinamica è propria della vocazione cristiana, che come quella dei primi apostoli di Gesù (Gv 1, 35-51), è aspirazione a vivere in amicitia Christi (Beato Aelredo di Rievaulx).
La vita cristiana è anelito ed esperienza ad “abitare con il Maestro” (Gv 2, 38-39) insieme ai fratelli come in una comunità di amici. La capacità di accoglienza universale di ogni uomo e di ogni donna ne è il frutto maturo. L’accoglienza dell’altro diviene così l’incarnarsi dell’amore di Cristo mediante il quale egli plasma in loro un nuovo stile di vita (2 Cor 5, 14).
I discepoli di Gesù nel contemplare il mistero della Croce rafforzano in essi l’esperienza di sentirsi amati, perdonati e accolti da Gesù. La croce è la cattedra da cui Gesù rivela, insegna e dona la misericordia di Dio. Dalla Croce egli è per tutti e per ciascuno il Pastore buono e bello che offre la propria vita per le sue pecore e dalla quella croce i suoi discepoli si sentiranno spinti ad imitarlo in un’accoglienza disinteressata e universale tanto da essere capaci di portare, a loro volta, gli altri sulle spalle e a stringerli al petto come fa il buon Pastore (cfr. Fil 2, 1-11), con ogni pecora del gregge.

 La forza della debolezza
 Questo stile genera la cultura dell’inclusione e della cura dell’altro. In questo modo si potrà sconfiggere la contrapposta cultura dello scarto e dell’indifferenza (cfr. Lc 10, 25-37). Questa è la forza del cristianesimo, la forza della debolezza che si impone in ogni situazione come “tenerezza combattiva” (EG 85), che sgorga da un’esperienza sacramentale e mistica che porta ogni vero cristiano a dire con san Paolo “non sono più io che io vivo ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).
La contemplazione di Gesù che in solitudine va verso la crocifissione ci aiuta a riconoscere in lui i tratti dell’agnello mansueto che viene portato al macello (cfr. Ger 11, 19). Da questa contemplazione scaturisce la consapevolezza che “non è il potere che redime, ma l’amore”, verità che sta al centro del messaggio evangelico! “Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore” (cfr. Benedetto XVI, Omelia in occasione della santa messa per l’inizio del ministero petrino di vescovo di Roma, 24 aprile 2005).
Noi, però, soffriamo per questo stile paziente di Dio. Il suo ritardo, segno della sua infinita misericordia, noi lo leggiamo, invece, come indifferenza e disinteresse. Ma pensando e dicendo questo noi dimentichiamo che “il mondo viene salvato dal crocifisso e non dai crocifissori”: Il mondo, infatti, è redento dalla pazienza misericordiosa e salvatrice di Dio.
La “tenerezza combattiva”, che Gesù richiede ai suoi discepoli, era tutta presente nel cuore di sua Madre, che era rimasta in piedi dinanzi al dramma della Croce di suo Figlio (cfr. Gv 19, 25) senza abbandonarlo e senza piegarsi. La fortezza di Maria risplende in modo particolare nei suoi occhi ed ha la sua radice profonda nel cuore. Questa “tenerezza indomita”, che non si rassegna dinanzi al male e che risponde al male con il bene è la grazia da impetrare per tutti noi in questo giorno di gloria e di passione, nei prossimi giorni della settimana santa.
In questi giorni santi chiediamo a Dio Padre che ci doni questi atteggiamenti di Maria, la donna della nuova Alleanza, che è rimasta fedele al disegno di Dio fino al momento del sacrificio supremo della morte di suo Figlio.
Il Signore ci doni questi occhi e questo cuore: occhi che amano e cuore che vede.
Gli occhi di Maria nei giorni dolorosi della passione di suo Figlio hanno visto tutto               il tradimento  nei  confronti  di   Gesù, tutta  l’ingiustizia   che è   stata         scaraventata su  di Lui e tutta l’ingratitudine di cui era colmo l’amaro calice che Gesù ha dovuto bere, fino all’ultimo sorso. Ma se gli occhi di Maria hanno amato tutti, anche i crocifissori, il suo cuore, invece, già allenato a saper leggere le necessità degli altri, riusciva a leggere nell’animo di quella gente, strumento di tale martirio, il grande bisogno di perdono e di misericordia (cfr.Gv 2, 3).
Perciò, miei cari, dinanzi al grande mistero della passione di Cristo, rivelazione di un amore “senza misura”, professiamo la nostra fede con le parole di san Giovanni Apostolo:
Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.
Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi
(1 Gv 1, -10).
 Carissimi, solo camminando con Gesù nella luce della sua amicizia, noi sperimentiamo con certezza ciò che è bello e ciò che libera. Apriamo, pertanto, come Maria, ai piedi della Croce, le porte del nostro cuore a Lui e troveremo la vera vita e la gioia piena.

Melfi, 5 aprile 2020 – Domenica delle Palme

Ciro Fanelli
Vescovo

#chiciseparera

COVID-19: INDICAZIONI CEB

SACRAMENTI, ATTIVITA' ESTIVE, FESTE PATRONALI

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

 Prot. N. 08/2020/VE

  INDICAZIONI

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI BASILICATA

CIRCA I SACRAMENTI DEL MATRIMONIO,

DELLA PRIMA CONFESSIONE, DELLA PRIMA COMUNIONE, DELLA CRESIMA

E CIRCA LE ATTIVITÀ ESTIVE E LE FESTE PATRONALI

 

Carissimi fratelli presbiteri,

vista l’attuale situazione legata al perdurare della pandemia da Covid-19, mentre continuiamo ad accompagnare e favorire – con tutti gli strumenti oggi disponibili – la preghiera e la vita di fede delle persone e delle famiglie, si rende necessario e urgente poter dare come Regione ecclesiastica ai fedeli alcune indicazioni comuni in merito alla celebrazione dei sacramenti del matrimonio, delle prime confessioni, delle prime comunioni e delle cresime che sono generalmente previste nelle parrocchie dell’intera regione a partire dalla settimana successiva alla Pasqua. La medesima esigenza è avvertita per le attività pastorali estive e per le feste patronali.

Pertanto, in comunione con i Confratelli Vescovi della Basilicata  dopo un attento discernimento, recependo gli orientamenti della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Italiana –  vi comunico le indicazioni pastorali condivise dalla Conferenza Episcopale di Basilicata sulle suddette scadenze di pastorale sacramentaria e di attività estive:

  1. Matrimoni

Si conferma quanto già in atto nelle nostre Chiese di Basilicata prima della pandemia, fatta salva la facoltà del Vescovo di derogare a tale norma qualora ci fosse un motivo grave.
Onde evitare, però, più differimenti di date, per via dell’incertezza circa la fine delle restrizioni, si consiglia di rinviare la celebrazione all’anno prossimo, come altre coppie hanno già deciso di fare, escluso il giorno festivo.

  1. Prime Confessioni, Prime Comunioni e Cresime 

È bene che i suddetti Sacramenti vengano differiti all’inizio del nuovo anno pastorale. Infatti, anche se le restrizioni dovessero rientrare, non ci sarebbe il tempo reale e psicologico necessario per una più immediata preparazione. Pertanto, il calendario delle Cresime, previsto dalla Pasqua in poi, è annullato. Cessata l’emergenza sanitaria, provvederemo a concordare un nuovo calendario. I parroci valutino sin d’ora, specie per le parrocchie più piccole, l’opportunità di rinviare la celebrazione al prossimo anno.

  1. Attività estive e di oratorio

La situazione attuale e le considerazioni circa l’evoluzione della pandemia da coronavirus, sembrano sconsigliare fin da ora tutte queste attività, che – stanti le disposizioni delle competenti autorità civili – possono comportare per gli organizzatori, parrocchie e diocesi, responsabilità, anche gravi, specie nei confronti dei minori. Pertanto, tutte le iniziative della Diocesi, delle Parrocchie e delle associazioni diocesane, già programmate, anche qualora le disposizioni civili di salute pubblica dovessero allentarsi, sono prevedibilmente da annullare, salvo che l’emergenza sanitaria venga totalmente superata.

  1. Feste Patronali

Le feste patronali sono da sospendere. Tuttavia, qualora se ne creasse la possibilità, perché cessata l’emergenza sanitaria, è bene limitarsi solo alla festa religiosa.
Le parole pronunciate da Papa Francesco sabato 28 marzo fotografano una situazione che interessa anche l’Italia: “Si incomincia a vedere gente che ha fame, perché non può lavorare, non aveva un lavoro fisso, e per tante circostanze. Incominciamo già a vedere il “dopo”, che verrà più tardi ma incomincia adesso”. Considerata la crisi economica provocata dal coronavirus che colpirà ulteriormente le nostre Comunità e famiglie, già in difficoltà, ci troveremo sempre di più a far fronte a nuove situazioni di persone ridotte allo stremo. I Vescovi di Basilicata, pertanto, non ritengono sia giusto spendere cifre ingenti per una festa civile, in un momento come questo quando avremo tante famiglie che non disporranno del necessario per sopravvivere  o si trovano a piangere la morte di un proprio caro. Questa è l’occasione propizia per esprimere anche il volto bello della Chiesa che sa scegliere vie di sobrietà e sa farsi solidale con tanti fratelli e sorelle in situazioni di bisogno.

Carissimi,
la contemplazione della passione, morte e risurrezione di Nostro Signore durante la Settimana Santa, che ci apprestiamo a celebrare  – adottando tutte le misure sanitarie previste per il contenimento pandemia –   rafforzi in tutti noi le motivazioni evangeliche per continuare ad essere sempre più vicini e concretamente solidali alle tante famiglie che stanno vivendo situazioni di vera sofferenza e di serio disagio economico.
A tutti voi giunga il mio saluto fraterno con le parole di San Francesco d’Assisi: “Pace e bene!”.
Melfi, 2 aprile 2020 – Giovedì della V settimana di Quaresima.

Ciro Fanelli
Vescovo

Commento al Vangelo della Domenica

24 Novembre 2019 Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo 1 Dicembre 2019 Prima Domenica di Avvento 15 Dicembre 2019 Terza Domenica di Avvento 22 Dicembre 2019 Quarta Domenica di Avvento 29 Dicembre 2019 Domenica della Sacra Famiglia 01 Gennaio 2020 Maria SS.ma Madre di Dio 05 Gennaio 2020 Seconda Domenica dopo Natale 06 Gennaio 2020 Epifania del Signore 12 Gennaio 2020 Battesimo di Gesù 19 … Continua a leggere Commento al Vangelo della Domenica »

ORIENTAMENTI SETTIMANA SANTA

IN ALLEGATO I DOCUMENTI

Celebrazioni della Settimana Santa senza concorso di popolo: indicazioni CEI

Mercoledì 25 marzo 2020 –  Decreto della Congregazione per il culto divino

Mercoledì 25 marzo 2020 il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato un “Decreto” della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, con cui aggiorna – «su mandato del Santo Padre» – le indicazioni generali e i suggerimenti già offerti in un precedente Decreto dello scorso 19 marzo.
Il testo della Santa Sede disciplina le celebrazioni della Settimana Santa, dando disposizioni specifiche per i Paesi colpiti dall’emergenza sanitaria.
Dopo aver chiarito che – nonostante la pandemia – la data della Pasqua non può essere rinviata, indica i criteri con cui celebrarla.
Alla luce delle misure restrittive in atto, che riguardano gli assembramenti e i movimenti delle persone, il Decreto della Congregazione stabilisce che i Vescovi e i Presbiteri evitino la concelebrazione e celebrino i riti della Settimana Santa senza concorso di popolo.

In allegato testo degli “Orientamenti per la Settimana Santa” del Consiglio di Presidenza della CEI, del 25 marzo 2020, “Decreto” della Congregazione  per il culto divino e la disciplina dei sacramenti del 25 marzo 2020 e “Nota” della Penitenzieria Apostolica circa il Sacramento della Riconciliazione nell’attuale situazione di pandemia del 20 marzo 2020.

+ Ciro Fanelli
Vescovo

GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’

In occasione della Giornata Mondiale della Gioventù (celebrazione diocesana), il Settore Giovani di Azione Cattolica, L’Ufficio per la pastorale delle Vocazioni ed il Servizio di Pastorale Giovanile promuovono il

SOCIAL PARTY DIOCESANO

Sabato 4 aprile 2020

Programma

ore 17.30 tutti sintonizzati sul profilo Facebook @ PalazzoVescovileMelfi

ore 19.00 partecipazione a messa

ATTO DI CONSACRAZIONE

AL CUORE IMMACOLATO E ADDOLORATO DI MARIA

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

 ATTO DI CONSACRAZIONE

DELLA DIOCESI DI MELFI-RAPOLLA-VENOSA

AL CUORE IMMACOLATO E ADDOLORATO DI MARIA

VENERDÌ 3 APRILE 2020

Carissimi fratelli presbiteri,

per continuare ad impetrare dalla Vergine Maria, nostra celeste Patrona, il dono della liberazione dalla pandemia che sta attanagliando il mondo intero e per scongiurare i temuti danni economici che si prospettano per tante famiglie, vi invito ad unirvi in preghiera con me, venerdì 3 aprile, alle ore 12,00, per consacrare la nostra Diocesi, le nostre comunità, noi stessi e tutto il popolo di Dio, al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria, proseguendo nella novena “perpetua” che ci sta accompagnando in questo tempo di grave emergenza sanitaria e che ci ha portato a sostare idealmente dinanzi al “mosaico mariano del vulture-melfese”, costituito dai tanti riflessi dell’unico volto luminoso della Madre di Dio che il nostro popolo ha venerato nel corso dei secoli.

Con questo atto di consacrazione, vogliamo affidare la nostra Comunità diocesana alla materna protezione della Beata Vergine Maria ed impegnarci ad operare in noi quella conversione interiore tanto richiesta dal Vangelo, per liberarci dai facili compromessi con il mondo e per essere come Maria sempre disponibili a fare la volontà di Dio Padre.

Nell’affidare a Maria – mediante questo atto di consacrazione – la nostra esistenza e vocazione cristiana, mentre ci apprestiamo a celebrare la Pasqua, vogliamo impegnarci, in modo particolare, sia a vivere con Lei e per mezzo di Lei tutti gli impegni del nostro battesimo e sia a porre ogni sforzo per risvegliare in noi un rinnovato spirito di preghiera e di penitenza, attraverso la partecipazione fervorosa all’Eucaristia, la recita quotidiana del Santo Rosario ed uno stile di vita sobrio, che sia a tutti di buon esempio.

Ogni atto di consacrazione a Maria, ogni gesto di affidamento alla sua materna intercessione è tutto racchiuso nella bella preghiera della tradizione cristiana, che vi invito a recitare sempre, soprattutto nelle ore di tribolazione, come quelle che stiamo vivendo: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

Il Signore ci benedica e ci preservi da ogni male.

Melfi, 1° aprile 2020

+ Ciro Fanelli
Vescovo

 

ATTO DI CONSACRAZIONE
O Vergine Maria, nostra Madre tenerissima, tu risplendi sul nostro cammino come segno
di consolazione e di sicura speranza. La nostra Diocesi, oggi, in questo momento in cui
l’intera umanità è afflitta dalla pandemia del coronavirus e dalle sue gravi conseguenze
economiche, cerca rifugio nel tuo Cuore Immacolato e Addolorato ed implora con affetto
filiale la tua intercessione.
Oggi, o Madre Santissima, vogliamo consacrare al Tuo Cuore Immacolato e Addolorato,
la nostra Diocesi, le comunità parrocchiali, il nostro Vescovo, i sacerdoti, i diaconi, i
seminaristi, le persone consacrate e tutti i fedeli. Liberaci, o Madre della divina Grazia,
dal peccato che è origine di ogni male perché ci pone contro Dio e contro l’uomo.
Implora per noi, o Madre dolcissima, il Figlio tuo diletto, che stringi tra le tue braccia.
Ottienici la vera conversione del cuore, fa’ che la nostra coscienza ascolti sempre la voce
Dio, che ci chiama ad amare, a fare il bene e a fuggire il male. Ottienici una rinnovata
effusione dello Spirito Santo, che è la sorgente della vita nuova in Cristo.
Lo Spirito apra i cuori all’amore e alla speranza e ci aiuti a costruire una nuova civiltà
dove regnino la giustizia e la pace.
Ti affidiamo, o Madre amatissima, tutta la nostra comunità, a cominciare dai più deboli: i
bambini, i giovani in cammino verso la loro realizzazione, i sofferenti nel corpo e nello
spirito, le persone prive di lavoro e quelle segnate dalla tribolazione. Ti affidiamo le
famiglie, specialmente quelle più fragili e bisognose, gli anziani privi di assistenza e quanti
sono soli e senza speranza.
Liberaci dall’epidemia che ci sta colpendo e dalle gravi conseguenze economiche ad essa
legate, affinché possiamo ritornare sereni alle nostre attività e lodarti e ringraziarti con
cuore rinnovato.
O Madre del buon consiglio, che conosci le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce
degli uomini d’oggi, assistici nelle quotidiane prove che la vita riserva a ciascuno e fa’
che, grazie all’impegno di tutti, soprattutto dei sacerdoti, tuoi figli prediletti, le tenebre
non prevalgano sulla luce.
A Te, o vergine Maria di Nazareth, donna della speranza, che ai piedi della croce di tuo
Figlio hai rinnovato il tuo “si” pieno di amore e di fede, consegniamo il nostro cammino
perché sotto la tua guida possiamo incontrare il volto radioso di Cristo, unico salvatore del
mondo, che col Padre e lo Spirito Santo regna nei secoli dei secoli. Amen.

(possiamo fare seguire la recita delle Litanie lauretane e un Padre nostro, un’Ave Maria e un Gloria
al Padre, secondo le intenzioni del Papa)

In diretta streaming su: Palazzo Vescovile Melfi – Radio Kolbe fm98,00

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