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GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

Una Veglia di preghiera da vivere a casa o in Chiesa. La proposta dell'Ufficio Nazionale per il 24 maggio.

Una Veglia di preghiera in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. È la proposta dell’UCS che ha curato uno schema molto semplice per accompagnare un momento di raccoglimento da vivere a casa o in Chiesa. L’invito è a pregare “per l’umanità intera in questo tempo difficile di emergenza a causa della pandemia”, ma anche “per tutti gli operatori delle comunicazioni sociali, perché possano riconoscere anche in mezzo al male il dinamismo del bene e dargli spazio”.
Il Sussidio prevede un’introduzione, la lettura di alcuni passi della Bibbia che narrano “la storia delle storie” intervallata dall’accensione di sette candele, la contemplazione dell’icona del Volto di Cristo che ci aiuta a “riannodare il tessuto della vita, ricucendo le rotture e gli strappi” e l’invocazione finale alla Vergine Maria “che ha saputo sciogliere i nodi della vita con la forza mite dell’amore”.

https://comunicazionisociali.chiesacattolica.it/verso-la-gmcs-una-veglia-di-preghiera/ ​

 


MONS. FANELLI SCRIVE ALLE FAMIGLIE

IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA MAMMA

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

 

LETTERA ALLE FAMIGLIE DELLA DIOCESI
IN OCCASIONE DELLA “FESTA DELLA MAMMA”
NEL MESE MARIANO IN TEMPO DI COVID-19

 

Carissime Famiglie,

  1. Augurio a tutte le mamme.

innanzitutto un grande augurio, carico di stima e di affetto, a tutte le mamme! La nuova fase dell’emergenza sanitaria ancora in corso, ci porta, nel rispetto delle misure cautelative per impedire il contagio, a riprendere gradualmente i ritmi del vivere sociale e comunitario. Sento il bisogno, all’inizio di questa “Fase 2”, in prossimità della festa della mamma nel mese dedicato alla Madre di Dio, di ringraziare tutte le famiglie per il grande senso di responsabilità mostrato e per essere state, come sempre, in questo lungo periodo di prova, scuola di vera umanità e di reale socialità.

  1. Le famiglie “scuole” di vera umanità

In modo particolare rivolgo il mio pensiero grato a tutte quelle famiglie che con amore e spirito di sacrificio “custodiscono” le persone segnate da disabilità, che ogni giorno sperimentano la fatica e la gioia di un accompagnamento mai facile, ma pur sempre ricco di vera umanità.

Penso alle nostre persone anziane, ai nostri cari nonni: a quanti vivono ancora nel focolare delle loro famiglie e a quanti nelle Case di riposo sperimentano un senso di famiglia che – sebbene non legato alla carne e al sangue – è pur sempre significativo ed efficace nel dare un concreto sostegno materiale e psicologico.

Penso anche ai bambini e ai ragazzi che, nelle case, con la loro presenza stabile e prolungata insieme ai genitori, hanno saputo trasformare, pur con qualche gestita turbolenza, il tempo difficile della pandemia in spazio anche di serenità e gioia.

  1. Il tempo verso la Pentecoste: un tempo decisivo per la nostra vita di fede

Questo periodo per la comunità cristiana coincide con un tempo importantissimo: il tempo di Pasqua, naturalmente proteso verso la Pentecoste. Esso è per noi cristiani un tempo veramente importante! Il periodo pasquale è per certi versi un cammino decisivo rispetto a ciò che è la sostanza della vita cristiana di ognuno. Questo itinerario non è soltanto un percorso liturgico, ma è soprattutto il cammino esistenziale di ogni vero discepolo di Gesù Cristo, nella consapevolezza che “senza lo Spirito, nulla è nell’uomo” (cfr. Sequenza di Pentecoste).

Come Chiesa diocesana di Melfi-Rapolla-Venosa, in questo tempo di lotta alla diffusione della pandemia, il cammino pasquale – che non abbiamo potuto vivere se non in forma telematica – è stato scandito dalla riflessione su sei atteggiamenti pasquali che costituiscono anche alcuni dei pilastri della vita cristiana.

In questi giorni della IV settimana del tempo di Pasqua, dopo aver riflettuto sui verbi “risorgere” e “camminare”, stiamo meditando sull’atteggiamento del “cercare il Signore”: il Signore, infatti, non lo si cerca mai individualisticamente, ma sempre comunitariamente e per creare comunione. Se la ricerca del Signore è sempre personale, l’incontro autentico con Lui rimanda ogni volta alla comunità!

  1. L’incontro con il Risorto ci apre alla comunione in comunità

L’incontro con Gesù Risorto non lascia mai nessuno nella solitudine e nell’isolamento, rimanda comunque a fratelli che condividono la gioia dello stesso incontro. Come non ricordare, a questo punto, le parole con cui Gesù accoglie la ricerca dei primi discepoli che gli domandano: “Maestro dove abiti?” (cfr. Giovanni 1,35-40). Domanda che, in fondo, significa: “Maestro quale è la tua casa, la tua famiglia?”. E Gesù a questa domanda risponde: “Venite e vedete”. Gesù risponde invitandoli ad un’esperienza concreta sia a livello affettivo e sia a livello di concretezza di vita: la verità che è Gesù parla sempre all’interno di un’esperienza che è  lo  stare con Lui (cfr. Mc 3, 13-15).

  1. Dalle famiglie la forza per crescere in umanità

Questa è la forza primigenia di ogni famiglia e di tutte le famiglie: offrire un’esperienza di vita per ogni insegnamento, anche e soprattutto per quello religioso. La famiglia non insegna a parole, ma con l’esempio di vita. La famiglia resta infatti la scuola esistenziale originaria ed insostituibile dell’arte di vivere, dove la “cattedra” è sempre circolare e dove il “giudizio di merito” nasce dalla capacità di saper accogliere dentro di sé l’altro.

“Cercare Dio” è la grande tensione esistenziale che attraversa la storia dell’uomo di tutti i tempi; la famiglia nel desiderio naturale di “cercare Dio” ha un ruolo importante. Infatti, si cerca il Signore insieme e lo si può trovare veramente in una esperienza viva, vitale e condivisa.

In questi giorni della pandemia abbiamo ri-sperimentato la verità che la vita non è nelle nostre mani e che per affrontarla umanamente non sono sufficienti né risposte soltanto materiali né soluzioni puramente tecnico-scientifiche; se le soluzioni tecnico-scientifiche sono importanti e le risposte materiali sono necessarie, le risposte valoriali e di significato sono insostituibili. Attraverso i valori e il senso della vita si dà una risposta chiara e incoraggiante, che dice la forza dell’esserci, dello stare accanto, del “puoi contare su di me”, nonostante tutto e grazie a tutto.

Le risposte umane più vere sono quelle veicolate dall’ “esserci”, essere “accanto” all’altro e essere “per” l’altro. Qui rinveniamo il valore insostituibile della famiglia e anche della famiglia di Dio, che è la Chiesa. Abbiamo bisogno di “casa”, di “famiglia” e di “appartenenza”; se con uguale necessità sentiamo il bisogno di “viaggiare” è anche perché abbiamo fatto esperienza di casa e di famiglia. Nei giorni della pandemia la “Chiesa-famiglia di Dio” (la comunità parrocchiale), con i sui ritmi liturgici, educativi e caritativi si è dovuta fermare, ma ha trovato nella “Famiglia-chiesa domestica” (la famiglia naturale) nutrimento, luce, forza e sostanza.

  1. Nella Parola di Dio l’antidoto per vincere ogni paura

Nel Vangelo di Matteo, nel cuore del discorso della montagna, Gesù invita a cercare il Regno di Dio e la sua giustizia (cfr. Mt 6, 24-34), non solo come esigenza prioritaria del discepolo, ma anche in contrapposizione ad uno stile di vita radicato nell’ansia e nella preoccupazione.

Gesù, dunque, anche per noi, oggi, in questo tempo particolare, contrappone lo stile del discepolo all’atteggiamento mondano del preoccuparsi, che è sempre sterile e autodistruttivo, visto come causa di ansia e come modalità di una vita vissuta in prospettiva egoistica che porta a disperdere le energie positive del cuore umano. Infatti, lo stile del discepolo sa radicarsi in ogni circostanza, e quindi anche nel tempo della sconfitta e della perdita, nella fiducia in Dio e nell’impegno ad allargare i confini del Regno, attraverso uno stile di vita evangelico improntato al dialogo e al servizio e attraverso il “difficile amore” (la carità, la misericordia) che spesso è incompreso e frainteso.

Il tempo della pandemia, che ci auguriamo di poter lasciare definitivamente dietro le nostre spalle, tra gli effetti che ha prodotto in tanti di noi c’è proprio l’ansia e la preoccupazione, che spesso  – nelle persone più fragili  –  si trasformano anche in panico. Il panico, però, con l’inevitabile senso di impotenza che genera, è un atteggiamento sempre pericoloso e dannoso, in modo particolare per una famiglia e una comunità.

Il cristiano può trovare l’antidoto a questo atteggiamento negativo di paura nella Parola di Gesù che invita, in ogni circostanza, a “non preoccuparsi e affannarsi”, perché dobbiamo avere la sicurezza che Dio Padre “sa ciò di cui abbiamo bisogno” (cfr. Mt 6, 25). Gesù stesso, infatti, mentre invita a non preoccuparsi, esorta anche a cercare il Regno di Dio e la sua giustizia (cfr. Mt 6,33), nella consapevolezza che tutto ciò che è necessario per la vita di ogni giorno ci verrà dato da Dio, che è il Padre, in sovrabbondanza.

  1. Dare stabilità alla vita poggiandosi sulla roccia dei valori e di relazioni autentiche

Il tempo della pandemia nella sua spietatezza ci ha offerto anche una lezione di vita costringendoci a riconsiderare il nostro modo di vivere e a tematizzare meglio l’esperienza della fragilità e della precarietà dell’esistere, realtà che spesso forse rimuoviamo con troppa facilità. Infatti, se da una parte siamo indotti a guardare alla vita con maggiore realismo, dall’altra dobbiamo riconoscere che una vita che non si radica sui valori è una esperienza poggiata sulla sabbia (cfr. Mt 7, 24-27).

Per le evidenti esigenze sanitarie a tutti note, abbiamo dovuto rallentare e “distanziare” i rapporti sociali, bloccando quasi totalmente ogni relazione e frequentazione sociale e comunitaria; ma non dobbiamo però mai dimenticare che i valori umani, le relazioni interpersonali e la solidarietà non possono essere mai oscurati o annullati da nessuna prescrizione: nessun uomo è un isola e nessuno può vivere in modo isolato.

Il blocco sanitario, che ancora perdura. pur con qualche allentamento, ha toccato anche il nostro modo di esprimere la vita di fede soprattutto, nel rapporto con l’Eucaristia e con la comunità stessa. Ma un altro effetto negativo, e per certi versi ancora più drammatico degli altri, legato alle conseguenze delle misure restrittive, è stato lo scenario economico, che sta gravando negativamente soprattutto sulle famiglie, accentuando fortemente disagi e determinando situazioni di vera povertà (mutui, cassa integrazione, lavoro, malattia, vecchiaia,  ecc…).

  1. Essere famiglia per tutti

Ma il mio pensiero se va con gratitudine alle famiglie, non può non rivolgersi in questo momento anche a coloro che, purtroppo, per tante ragioni, non hanno la fortuna di avere una famiglia. A tutte queste persone che vivono la grande povertà relazionale, dove dall’altro non ricevono un immediato riscontro che ci sei e che sei importante, dico la mia personale vicinanza e quella della comunità cristiana, che si sforza di essere famiglia di tutti e per tutti, in modo particolare per chi è in situazioni di necessità materiale e spirituale.

La solitudine e la povertà sono due grandi mali che si legano tra loro e che noi dobbiamo e possiamo sconfiggere. La famiglia, nella visione cristiana, resta il luogo vero dove la solitudine e la povertà, anche se presenti,  possono sempre essere affrontate, superate e addirittura vinte. La società civile e la politica hanno il dovere di promuovere la famiglia sempre e ovunque, perché è il modo vincente per estirpare dalla persona umana il senso di fallimento strutturale (che si manifesta nella solitudine e nella povertà), e che è alla base, spesso, anche di ogni devianza.

  1. Dall’illusione di onnipotenza alla responsabilità e alla cura per l’altro

Prima della pandemia, l’illusione di onnipotenza umana su tutto e su tutti dominava indisturbata. La pandemia, invece, ha mostrato una crepa profonda in questa grande illusione, che portava a credere di avere comunque – rispetto a qualsiasi situazione –  il pieno controllo immediato. Questo delirio di onnipotenza portava anche a minimizzare quegli aspetti propriamente “umani” della vita che dicono limite, fragilità, bisogno, responsabilità, fino a rimuoverli e a negarli.

Il tempo della pandemia, però, relegandoci nelle abitazioni, con lo slogan “io resto a casa”, ci ha insegnato che le nostre famiglie, e in particolare i nostri figli, non hanno bisogno solo di cibi, vestiti, medicine, inserimento sociale; ma anche e soprattutto di verità e di significati che rendono la vita degna di essere vissuta, soprattutto in momenti critici come quelli che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo.

Tutti, in questi giorni, abbiamo toccato con mano la fragilità e la precarietà della vita e che essa non dipende da noi. Abbiamo, però, anche mentalizzato meglio che il comportamento degli altri non è indifferente rispetto alla nostra situazione e che il cosiddetto bene comune non è un’idealità astratta: lo stile di vita corretto di ognuno è un aiuto importante per la tutela della salute di tutti!

Una certezza, però, dobbiamo rafforzare ed è la ragione per la quale vi ho scritto: le relazioni familiari sono sempre una ricchezza e comunque un dono. Lasciamo fuori dalle nostre famiglie le violenze, le incomprensioni, le falsità.  Facciamo, invece, sentire all’interno della famiglia la bellezza di un amore condiviso, forte, anche ferito, ma sempre sereno e mai sdolcinato. L’altro è sempre un mistero, contiene un segreto che va rispettato. La famiglia è lo spazio relazionale in cui si può accogliere anche l’incomprensione, la disarmonia, la differenza e la diversità. Nella famiglia dobbiamo poterci sentire amati e apprezzati, tutti, in modo particolare i bambini e i ragazzi, i malati e i disabili, perché possano sviluppare in se stessi la fiducia di fondo verso la realtà, la riconoscenza, la gratitudine e la gioia di essere immersi nell’amore del Padre celeste. La famiglia deve aiutare a passare dall’amore ricevuto all’amore donato, a sperimentare che è bello fare il bene, pregare, essere onesti, sinceri, giusti e generosi.

  1. Quattro parole per orientarsi nella vita: dalla gratitudine alla lode

Qualche giorno fa ho scritto ai giovani fidanzati in cammino verso il matrimonio. Ad essi, e anche alle famiglie già costituite, confermo la consapevolezza del valore che custodite e del ruolo specifico che avete accanto alla comunità ecclesiale in ordine all’educazione e alla crescita nella fede. Questo è un ruolo permanente,  ma emerge in modo particolare in questo tempo di emergenza sanitaria che ci ha portati a sospendere tutte le attività pastorali, dalla celebrazione delle Sante Messe agli incontri degli itinerari di catechesi per i vostri figli. Parlare di famiglia è considerare la vita nella sua dimensione più vera: genitori, figli, nonni, ammalati, disabili, lavoro, disoccupazione, impegni e programmi.

Il coronavirus con la sua subdola diffusione ha generato in tutti la fondata preoccupazione per la tutela della salute. Questo timore ci ha visti particolarmente protettivi per i bambini, gli anziani e gli ammalati, che essendo la parte più debole sono maggiormente a rischio, in quanto richiedono anche più attenzione e più cura.

  1. Famiglia “piccola chiesa”

Questa difficile situazione ha rappresentato anche l’opportunità, come dicevo, di riscoprire il valore della “famiglia” come “chiesa domestica”, dello stare insieme uniti nelle nostre case anche per vivere in maniera significativa e quotidiana alcuni ritmi della nostra fede, dove ogni genitore ha potuto sperimentare anche la bellezza di sentirsi il vero catechista nella/della propria famiglia.

La Chiesa e la società civile hanno comunque sperimentato in questa lunga quarantena il ruolo centrale e fattivo della famiglia e della casa: non solo come il luogo dove stare chiusi, ma soprattutto come l’ambito in cui si recuperano in maniera efficace energia e motivazioni e in cui rinvenire valori e sostegno per “abitare” tutte le relazioni sociali in modo propositivo.

L’altra grande consapevolezza  che è emersa a partire da questa pandemia rispetto soprattutto alle famiglie è l’educazione e l’educazione in famiglia. Abbiamo tutti compreso che su questo versante non si deve delegare ma creare alleanze. L’arte di educare che appartiene primariamente, anche se non in modo esclusivo alla famiglia, non può svolgersi in modo efficace senza la famiglia.

Da questo tempo di pandemia ricaviamo  senza vuote apologie un invito alle famiglie, ai genitori in particolare, a riscoprire l’arte di imparare ad educare vivendo ciò che si vuole insegnare. Questa arte diventa sempre più difficile in una società ricca di infinite risorse materiali, ma sempre più povera di verità e di ideali condivisi.

“Resto a casa”, slogan giustamente diffuso e praticato in questo tempo di emergenza sanitaria, dice anche la consapevolezza del valore umano e sociale della famiglia, dalla quale “non fuggo” e dalla quale “esco” per creare relazioni, dalla quale attingo energia esistenziale e dalla quale ho bisogno di uscire per sperimentare la bellezza di condividere valori e di confrontarmi con sempre nuovi stili di vita.

La famiglia, perciò, senza retorica, deve fondamentalmente, al di là di tutto, far sentire ai figli che essi sono amati e apprezzati, perché possano sviluppare in se stessi la fiducia di fondo verso la realtà, la riconoscenza, la gratitudine, la gioia di essere immersi nell’amore del Padre celeste.

Nella famiglia deve esserci certezza che la prima forma di educazione, è l’esempio di vita: i bambini sono recettivi; assimilano tutto ciò che l’ambiente offre; continuamente guardano, esplorano, toccano, fantasticano. Vogliono essere come i grandi, specialmente come i genitori. Se i genitori, e gli adulti, creano un clima di gioia serena, i ragazzi sono tranquilli e contenti. Se gli adulti sono instabili e ansiosi, sono inquieti e agitati. Se i genitori amano, imparano ad amare.

  1. La preghiera del Rosario insieme, come “famiglia di famiglie”

La fretta e a volte anche la frenesia con cui abitualmente ci colleghiamo alla vita quotidiana ci porta a trascurare la centralità della famiglia sia nelle sue risorse che nelle situazioni problematiche. In molte famiglie, in questi giorni, la convivenza imposta e prolungata ha anche condotto a far venire fuori problematiche che spesso si ignoravano. Proprio per questa ragione anche a voi famiglie affido quattro parole che Papa Francesco, in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, ha affidato ai giovani come bussola per la loro vita: gratitudine, coraggio, fatica e lode.

Queste quattro parole sono i punti cardinali della bussola della vita e sono anche i quattro pilastri su cui costruire le nostre relazioni e le nostre giornate.

Nella preghiera per questo tempo di pandemia ho chiesto al Signore che ci faccia uscire migliorati: che questo tempo fosse fucina di vera fraternità e che l’angoscia fosse sciolta in una preghiera semplice e fiduciosa.

Focalizzarci su ciò che è essenziale genera novità e ci fa crescere nonostante tutto. Queste quattro parole ci aiutano ad avere un approccio più sano e più realistico alla vita. La gratitudine ad esempio ci porta a cogliere, pur tra tante situazioni difficili, il positivo che c’è, il bene che è presente, la ricchezza vera che non marcisce. Essere grati è non solo saper guardare con ottimismo la vita o vedere “il mezzo bicchiere pieno”, ma è essenzialmente essere convinti che nella nostra vita c’è il segno della benevolenza di Dio e della sua paternità. Dalla gratitudine nasce anche il coraggio con cui affrontare le sfide e le difficoltà che la vita a volte ci presenta. Il coraggio dice consapevolezza che la situazione può essere trasformata, può essere orientata ad un bene maggiore, ecc …

La fatica, in questa prospettiva, diventa la fedeltà vissuta nell’attimo presente, come perseveranza e tenacia. Senza fatica non si apprezza il valore delle cose e delle persone. Anche le relazioni, anche quelle familiari, vanno tessute con cura se vogliamo sperimentare la gioia dello stare insieme. La lode diventa il ritmo del cuore della persona grata che non si ritira di fronte alle sfide della vita e che non ha paura della fatica da impiegare.

“Resto a casa”, per favorire la sconfitta della pandemia, ma “resto a casa” per favorire la mia crescita umana e cristiana; “resto a casa” per credere sempre di più nel valore di relazioni autentiche, generose e gratuite; “resto a casa” per vivere la fede senza pudore e senza vergogna. “Resto a casa” per reimparare a farmi il segno di croce e a pregare con i miei cari. “Resto a casa” per riaprire con i miei cari il Vangelo e per tenere in mano la corona del santo Rosario.

A questo proposito voglio non solo ricordarvi il nostro camminare verso la Pentecoste, seguendo il percorso che sto suggerendovi tramite il profilo facebook  Palazzo Vescovile di Melfi compiendo sei passi con sei verbi (risorgere, camminare, cercare, ecc), ma desidero anche invitarvi in questo mese mariano ad unirvi come “famiglia di famiglie” per recitare insieme il santo rosario in famiglia e per le  famiglie, martedì sera, 12 maggio, alle ore 21,00.

Con questa mia lettera ho accolto con gioia la proposta che mi è stata fatta dall’Ufficio per la Pastorale Familiare. Immediatamente in essa ho visto una opportunità bella per vivere insieme a voi, care famiglie, un’occasione forte per rinsaldare il nostro cammino di fede, ricentrandoci sulla Madonna, regina della famiglia, che con l’esempio della sua vita ci stimola a giocarci sempre sulle quattro parole di Papa Francesco.

In attesa di poter riprendere insieme, sia pur gradualmente, il nostro ordinario cammino sociale ed ecclesiale, e soprattutto nella speranza di poter celebrare insieme i Sacramenti invoco su di tutti voi la Benedizione del Padre misericordioso, perché ci custodisca e ci protegga da ogni male.

Vi assicuro che ogni giorno nella Messa che celebro, prego per voi e continuo a consegnare tutte le Famiglie della nostra Diocesi all’intercessione potente del Signore e alla protezione materna della Vergine Maria.

Il Signore benedica le vostre famiglie e vi dia la gioia di essere scuola di fede e di autentica umanità!

+ Ciro Fanelli
Vescovo

 

#chiciseparera

 

IL VESCOVO FANELLI SCRIVE AI FIDANZATI

NEL TEMPO DELLA PANDEMIA

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA
 

MESSAGGIO AI GIOVANI FIDANZATI
IN CAMMINO VERSO IL MATRIMONIO
NEL TEMPO DELLA PANDEMIA

 

Carissimi giovani fidanzati,

Vi raggiungo all’inizio della “Fase 2” dell’emergenza sanitaria perché, pur tra le difficoltà notevoli che vi ha creato la pandemia bloccando progetti e relazioni, desidero dirvi la mia personale vicinanza e quella della nostra chiesa locale. La speranza è che questo difficile periodo con tutte le sue restrizioni possa terminare subito e bene. La pandemia, per voi che avevate già programmato la data delle nozze, è stata un freno inatteso, che vi ha costretto a rimandarla con tante conseguenze, non sempre piacevoli, ma che ora bisogna con entusiasmo e fiducia superare per “riprendere” il sogno grande della vostra vita.

Prima che esplodesse la pandemia abbiamo avuto la gioia di incontrarci a Melfi, domenica 1° marzo, nel salone degli stemmi del palazzo vescovile, in un incontro con il prof. Michele Illiceto e con l’équipe diocesana della pastorale familiare. E’ stato un momento di festa e di arricchimento reciproco, che doveva segnare il vostro cammino verso il matrimonio, verso quel giorno del  “si” definitivo, che “significa dire all’altro che potrà sempre fidarsi, che non sarà abbandonato se perderà attrattiva, se avrà difficoltà o se si offriranno nuove possibilità di piacere o di interessi egoistici”.

Il tempo è sempre prezioso, soprattutto quello che separa dal raggiungimento di mete importanti è sempre prezioso, anche quando viene bruscamente bloccato, come è accaduto per questa grave emergenza sanitaria; anzi, diventa più prezioso e significativo. Il vostro cammino verso il matrimonio, se da una parte si è rallentato, dall’altra ha sicuramente rafforzato le motivazioni della vostra decisione di vita. Anche per questa ragione voglio raggiungervi con questo mio messaggio.

E’ per l’intera comunità un motivo di speranza, soprattutto nell’ora presente, sapere che ci sono giovani che come voi sono in cammino per costruire una famiglia. A voi vorrei rimandare quattro parole che Papa Francesco ha sottolineato in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che si è celebrata domenica scorsa, 3 maggio 2020. Le quattro parole sono: gratitudine, coraggio, fatica, lode. Insieme possono costituire i quattro punti cardinali per aiutarvi ad orientarvi in questo momento e in tutte le scelte future della vita.

Grazie all’innamoramento vi siete incontrati e vi siete scelti; con il desiderio di pensare al  matrimonio e di costruire una famiglia vi siete rivolti alla comunità cristiana, alla vostra parrocchia. Con questo desiderio nel cuore, avete chiesto alla Chiesa di accompagnarvi nella fase ultima del vostro percorso verso il matrimonio e di aiutarvi a capire e a vivere il “mistero grande” che il vostro amore racchiude nel disegno di Dio. Proprio per questa ragione, la vostra vita deve essere colma di gratitudine: essa è il sigillo più bello che da significato e valore a chi si sente amato e perciò chiamato. E’ l’esperienza del vostro incontro e dell’innamoramento. Chiamati, amati e grati l’uno all’altro e al Dio della vita e dell’amore.

Oggi, più che mai, la scelta di costruire una famiglia richiede coraggio. Il coraggio di impegnarsi per affermare il valore dell’amore, del lavoro, della vita. Senza coraggio non si va da nessuna parte. Il coraggio aiuta a difendere e proteggere le cose belle ed importanti. Il coraggio richiama la fatica che insieme evoca sia la tenacia e sia la perseveranza. Nel coraggio troviamo la fiducia che fa guardare in prospettiva e il valore che dà significato ad ogni singolo passo e ad ogni sacrificio. Ma lo sguardo cristiano all’esistenza e alle scelte di vita non può fermarsi al coraggio, né tanto meno alla fatica, esso è sempre proteso alla lode. Non c’è esperienza di vita che possa dirsi autenticamente cristiana che non porti alla lode, alla festa e alla gioia.

La vostra scelta di camminare verso il matrimonio cristiano è per la lode. Voi siete, con la freschezza della vostra età e del vostro giovane amore, segno di questa lode che non deve mai spegnersi nel cuore di una comunità e di una famiglia. Le vostre vite da fidanzati, in cammino verso il matrimonio, riempiono sempre di gioia e arricchiscono anche gli altri nella nostra umanità e nella nostra fede. E’ bello sapere che l’amore continua ad affascinare, oggi come ieri,  e che la vita, nonostante i momenti difficili e dolorosi, come quello che stiamo attraversando, sia garantita da questo slancio del cuore che è qualcosa di più grande di un sentimento.

Nella mia vita di parroco e ora di Vescovo ho incontrato tanti giovani fidanzati come voi; ho avuto anche la gioia di benedire le nozze di numerose coppie, che oggi sono il segno vivente della gratitudine, del coraggio, della fatica e della lode di una vita vissuta insieme per amore e nell’amore!

Lo splendore dell’amore diventa ancora più bello quando si trasforma in segno e testimonianza per le altre coppie e per la comunità. Questa è la missione che si radica nel sacramento del matrimonio al quale vi preparate! Voglio concludere questo mio messaggio invitandovi a continuare ad essere grati, guardate in avanti con coraggio, non spaventatevi della fatica dovuta anche al dover rimodulare tutto a partire da questa pandemia, perché il Signore Risorto è il garante che la lode in voi non si spegnerà mai, perché Egli è venuto perché avessimo la vita in pienezza (cfr. Gv 10,10).

Il Signore vi protegga e vi accompagni in questo tempo di fidanzamento, perché sia sempre più un’occasione per crescere nella consapevolezza che, come ricorda Papa Francesco nell’Amoris laetitia “dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la ‘più grande amicizia’”.

La strada maestra della vita è l’amore, che ogni giorno è invito al dono di sé perché l’altro sia nella gioia. Oggi, come fidanzati, guardate da due punti prospettici all’unica meta, il vostro matrimonio, invece, dal giorno delle vostre nozze guarderete da un unico punto prospettico, che è l’amore reciproco, allo splendore della vita. Auguri di ogni bene.

Melfi, 6 maggio 2020

Con affetto, il vostro Vescovo
+ Ciro Fanelli

 

#chiciseparera

DISPOSIZIONI PER LA CELEBRAZIONE DELLE ESEQUIE

NELLA "FASE 2" DELL'EMERGENZA SANITARIA

CIRO FANELLI

                                                                                          VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

Prot. N. 10/2020/VE

 
DISPOSIZIONI
PER LA CELEBRAZIONE DELLE ESEQUIE
NELLA “FASE 2” DELL’EMERGENZA SANITARIA
PER CONTENERE LA PANDEMIA DA COVID-19

 
Carissimi,

l’esperienza che abbiamo fatto nella fase acuta dell’emergenza sanitaria, causata dalla diffusione della pandemia da Covid-19, ha sconvolto non poco le nostre abitudini personali e sociali e, di conseguenza, anche quelle ecclesiali. Sicuramente questa difficile situazione è stata anche una scuola di vita dalla quale potremo imparare molto. Questa lezione di vita ci aiuti anche a recuperare le ragioni profonde del nostro convivere sociale ed ecclesiale. Il contrasto alla pandemia ci chiede di mettere in atto ancora particolari misure di sicurezza. Pur consapevoli dei grandi beni (diritti e valori) che sono in gioco, dobbiamo, senza polemiche e con spirito di responsabilità, far prevalere – quale criterio prevalente – il bene della salute pubblica, che non annulla o vanifica gli altri diritti e valori coinvolti.

Il Papa di recente ci ha ricordato che in questo nuovo tempo di lotta alla pandemia, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, “dobbiamo pregare il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni”. L’attuale situazione, che resta pesante ed onerosa per tutti, impone che con grande umiltà e vera responsabilità continuiamo ad agire facendo per il bene della salute pubblica, rinunciando a qualche diritto e rendendoci ancora disponibili a qualche sacrificio. E’ evidente che molte domande restano ancora aperte circa il “quando” e il “come” della ripresa anche graduale della vita liturgica e circa le misure sanitarie da adottare; restiamo fiduciosi e pazientiamo.

Poiché in questa fase, in particolare in ordine alla celebrazione delle esequie, la responsabilità di applicare le disposizioni governative per contenere il contagio è del singolo Parroco,

  • Visto il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 26 aprile del 2020;
  • Considerate le rispettive Note del Ministero dell’Interno del 30 aprile 2020 e della CEI, complementare al summenzionato testo del Ministero dell’Interno, circa le modalità della ripresa in questa “fase 2” e in particolare per la celebrazione delle esequie;
  • Considerato il gravame delle responsabilità ricadenti sul Parroco in questa fase dell’emergenza sanitaria per la celebrazione delle esequie, con o senza messa;
  • Preso atto che l’art. 1, comma 1, lett. i) del suddetto Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministeri relativamente alle esequie parla di “funzione da svolgersi preferibilmente all’aperto”;

Volendo offrire a tutte le Parrocchie della Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, per questo momento iniziale della “Fase 2”, indicazioni unitarie che facilitino il rispetto delle misure vigenti in ordine alla celebrazione delle esequie,

D I S P O N G O

che, in tutto il territorio diocesano – in questo momento iniziale della “Fase 2” – salvo ulteriori disposizioni da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e nuovi orientamenti da parte della CEI,

LE ESEQUIE SI CELEBRINO SENZA MESSA ALL’APERTO NELL’AREA CIMITERIALE,

SECONDO QUANTO PREVISTO DALLE NORME LITURGICHE

La scelta temporanea del luogo all’aperto rende dal punto sanitario molto più gestibile la celebrazione rispetto al luogo chiuso delle aule liturgiche delle chiese. Si abbia, comunque, la massima cura che la celebrazione si svolga in un tempo contenuto e che si osservino scrupolosamente, anche per i luoghi all’aperto, le misure sanitarie prescritte dalle disposizioni governative (distanziamento fisico, numero dei partecipanti non superiore a 15 persone, mascherine, temperatura corporea, ecc …) e recepite dalla summenzionata Nota del Segretario Generale della CEI, evitando in ogni modo assembramenti e il contatto fisico. Il tutto venga svolto d’intesa con i Sindaci e con le autorità cimiteriali.

Valorizziamo questo momento; esprimiamo tutta la vicinanza visibile e cordiale alle famiglie in condizione di lutto. Non si dia la sensazione che non essendoci la celebrazione della messa non c’è nulla. Viviamo anche questa fase, come si è fatto lodevolmente fino ad oggi, con prudenza e generando comunque nella gente serenità e fiducia, pur nel rispetto delle giuste regole.

Con altrettanto senso di responsabilità dobbiamo però prepararci ed attrezzarci a vivere anche gli stadi successivi di questa “Fase 2” in vista della ripresa graduale della vita liturgica: non dobbiamo, infatti, farci trovare impreparati ed agire in ordine sparso.

La nostra gente, la nostra specifica missione e il bene della salute pubblica devono trovare in noi dei facilitatori. Questa “Fase 2” è indubbiamente un tempo ancora molto delicato e che, per certi versi, può diventare anche pericoloso facendo risalire la curva dei contagi.

In ordine all’obbligo della sanificazione degli ambienti, mentre restiamo in attesa di ulteriori precisazioni sia da parte del governo che della CEI, dobbiamo comunque mentalizzarne la necessità. Nel frattempo si informino i fedeli e chiunque entri in chiesa, anche con appositi cartelli informativi, sulle disposizioni di sicurezza previste.

Confidando nell’impegno di tutti e di ciascuno, in attesa di ulteriori adattamenti e comunicazioni, vi saluto fraternamente in Cristo.

Melfi, 1° maggio 2020.

+ Ciro Fanelli
Vescovo

 

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CARITAS DIOCESANA MELFI: L’IMPEGNO NELL’EMERGENZA COVID-19

flashreport 10 marzo / 20 aprile 2020

A quasi due mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria per la pandemia Covid-19, la Chiesa di Melfi Rapolla Venosa propone un’analisi approfondita sui bisogni del territorio e le risposte fornite attraverso i servizi già in essere e all’attivazione di nuovi servizi allestiti appositamente. In questo flash report viene fornito un quadro dettagliato. Nel periodo specifico il nostro compito è stato quello di dare una prima risposta ai bisogni primari di famiglie e individui e di restare in ascolto dei bisogni dei più poveri e delle parrocchie per affrontare il cambiamento e le sfide poste da questa emergenza. A tal fine sono stati messi a confronto alcuni dati registrati nei vari servizi della Caritas Diocesana nello stesso periodo del 2019 con quelli del 2020. La Caritas Diocesana ha rafforzato la collaborazione con quasi tutti i Comuni della Diocesi ed ha risposto tempestivamente alle richieste che sono pervenute lì dove l’Ente locale non era nella condizione di poterle soddisfare. Allo stesso tempo, abbiamo registrato un aumento rispetto alle richieste di beni e servizi materiali, in particolare cibo e beni di prima necessità, sussidi e aiuti economici a supporto della spesa o del pagamento di bollette e affitti, sostegno socio-assistenziale, lavoro e alloggio. Nella Diocesi, oltre ai lavoratori in cassa integrazione, ci sono anche tassi di povertà e di economia sommersa molto alti soprattutto per chi lavora in nero (edili, braccianti, colf, ecc.) la situazione in questa emergenza è diventata drammatica. (report in allegato)

 

#chiciseparera


FESTA DEL LAVORO DEL PRIMO MAGGIO

MESSAGGIO DI MONS. FANELLI

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

MESSAGGIO
IN OCCASIONE DELLA FESTA DEL LAVORO DEL PRIMO MAGGIO
AL TEMPO DEL COVID- 19

 Il lavoro che salva dal virus

Alcune idee per pensare al domani, perché “questa tormenta finirà”.

 Il nostro lavoro, quello che ci fa portare a casa il pane che spezziamo con i nostri figli, non verrà bloccato dal Covid-19 solo se saremo in grado, insieme, di cambiare ciò che – sino al 20 febbraio 2020 – era già inutilmente un freno al progresso spirituale e umano della nostra società.

Nel lavoro e in quel pane spezzato con i figli c’è un segno fortissimo che ci riporta all’Eucaristia: si lavora per il bene personale e degli altri, si lavora per progredire, individualmente e collettivamente, si lavora per ciò che verrà dopo. Lavorando, si ringrazia per ciò che siamo capaci di realizzare con le nostre mani, per noi e per gli altri.

  1. La visione solidale del lavoro, priorità imprescindibile

 Non c’è virus che tenga rispetto alla visione solidale e all’impegno di coloro che hanno deciso di mettere in atto buone pratiche per le future generazioni. Papa Francesco ci ha recentemente ricordato che si deve “pensare al poi, perché questa tormenta finirà e le sue gravi conseguenze già si sentono” (Lettera ai Movimenti Popolari, 12 aprile 2020).

Sono passati pochi mesi dal nostro Convegno diocesano sul lavoro. Era dicembre 2019. Oggi il mondo del lavoro sembra stravolto.

Il virus che sta colpendo la nostra società, immobilizzandoci tutti nelle case, è un virus con cui ci confronteremo per un tempo non ancora prevedibile. Ma ciò non ci esime dal programmare un “modo di vivere” e un modo nuovo di “lavorare per vivere” che possa ridurre al minimo possibile il rischio di contagio. Seguiremo diligentemente, con senso di responsabilità – come abbiamo fatto sino a oggi – le linee guida delle autorità pubbliche competenti e ci conformeremo a tali norme. Ma ciò non basterà.

  1. Programmare il nuovo

 A noi cristiani è chiesto un impegno ulteriore: quelle linee guida, quelle norme, quelle condotte debbono essere assorbite dalla nostra mentalità formatasi sul Vangelo, il quale ci insegna che insieme si sopporta meglio il peso di situazioni complicate e che insieme si trova la ragione alla speranza di un miglioramento.

Il virus, come il male, tende a farci isolare. Noi cristiani vinciamo il male se insieme ci impegniamo a comprendere la situazione, ad adattarci alle regole, a sperare nel meglio e a programmare il nuovo.

  1. Il presente decide il futuro

 Il virus ci sta indicando anche che il presente decide il futuro. Le generazioni che verranno ascolteranno da noi cosa è accaduto nel 2020. Racconteremo il dramma, la morte, le preghiere. Ma racconteremo anche ciò che abbiamo fatto per loro, per migliorare le loro condizioni di vita. Tocca a noi, oggi, decidere cosa possiamo fare per il domani. Nel lavoro e nella vita quotidiana agiamo, pensando al futuro dei nostri figli. Il Vangelo ci dice che i discepoli, dopo la risurrezione di Gesù, sono stati inviati a proclamare la buona notizia all’intera umanità. Noi siamo invitati a fare la stessa cosa, pensando che bene sommo dell’umanità è l’intero creato, che costituisce il dono grande che oggi abbiamo tra le mani e ciò che si troveranno anche i nostri figli tra le mani domani in ragione del nostro lavoro di oggi. Abbiamo una responsabilità comune nella fase di ri-costruzione post virus. E’una fase importantissima che è fatta di idee, progetti, azioni, tanta attenzione alla persona umana e alla comunità.

  1. Tre criticità da superare, insieme e con urgenza

 Quali sono i fattori sul lavoro che già bloccano inutilmente il progresso spirituale e umano?  Ne individuo almeno tre, i quali a mio avviso sono come i dardi infuocati di cui parla san Paolo (cfr. Ef 6, 16). Il primo riguarda la negligenza personale nel saper e nel sapersi formare adeguatamente rispetto alle nuove esigenze del lavoro. Il secondo riguarda l’incapacità dei sistemi pubblici e privati di guardare oltre l’immediato e di non programmare le trasformazioni che possono rendere il lavoro più dignitoso per tutti. Il terzo elemento, che spesso colpisce soprattutto i più giovani è relativo all’inerzia di non aggregarsi in organizzazioni che sappiano mediare tra interessi diversi.  Serve una mentalità nuova, – come anche la dottrina sociale della Chiesa ci insegna –    per affrontare questi tre dardi infuocati, che soffocano terribilmente il progresso umano e spirituale nel lavoro.

 Tre prospettive verso cui incamminarci

 Primo punto: la negligenza deve trasformarsi in attività propositiva nella formazione professionale. Non c’è lavoro, da quello del dirigente sino a quello più umile, in cui la formazione professionale non sia necessaria. La formazione professionale ci aiuta a cambiare in meglio, a non rimanere immobili, a pensare a come trasformare le nostre esperienze in qualcosa di nuovo e più laborioso.

Secondo punto: l’incapacità di programmazione è un male che colpisce le nostre economie locali e nazionali. Essa, invece, va trasformata in capacità di programmare. Non è possibile prevedere tutto, ma è possibile programmare l’evento anche più tragico, per assicurare una forma di reazione equilibrata. Il virus ci insegna, inoltre, che dobbiamo imparare, il prima possibile, a ripensare le nostre politiche pubbliche al fine di saper gestire tali eventi e nel contempo riuscire ad adattare il lavoro a nuove eventuali emergenze.

Terzo punto: l’inerzia va vinta favorendo l’aggregazione in gruppi organizzati che sanno creare solidarietà. Le organizzazioni dei lavoratori possono essere di grande supporto alla mutualità. Le organizzazioni tra imprese servono al Paese e alla sua visione strategica. Oggi si deve trovare un nuovo modo, anche digitale, di sapersi riunire, saper condividere le idee, di sapersi confrontare e di saper mediare nelle difficoltà che viviamo. Da soli si dà e si fa poco! Il lavoro, dopo il virus, ci chiederà un impegno particolare in queste tre traiettorie. Impariamo a cogliere il momento opportuno e impegniamoci, individualmente e collettivamente. Facciamolo per il futuro che verrà, nel quale c’è il bene di un Dio che non ci abbandona.

  1. No alla “desertificazione” sociale, economica e culturale

 Come Vescovo sento il dovere di farmi portavoce di quanti in questa nostra comunità vogliono impegnarsi per un futuro migliore e non vogliono lasciarsi condannare a nessuna forma di “desertificazione” sociale, economica e culturale. Ogni ulteriore e urgente valutazione politica, economica e sociale deve favorire, soprattutto in questo delicato momento storico, il diritto al lavoro per tutti.

Se una preghiera corale, fino ad oggi, è stata innalzata a Dio, ricco di Misericordia, affinché fermasse il dilagare della pandemia, una preghiera altrettanto forte dobbiamo, ora, rivolgere al Signore, affinché vengano adottate nuove e forti politiche sociali che rimettano il lavoro al centro, soprattutto per il mezzogiorno d’Italia e per la nostra terra di Basilicata.

Mi appello a quanti hanno a cuore il mondo del lavoro e per esso si impegnano a renderlo sempre più libero, creativo, partecipativo e solidale (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 192). Spero fortemente che tutti coloro che desiderano un futuro diverso per la nostra terra di Basilicata, per i giovani, per le famiglie e per tutti i lavoratori possano mettersi in rete per pensare insieme al domani. Di certo la Chiesa diocesana di Melfi-Rapolla-Venosa continuerà, anche in questa circostanza, a prestare la sua voce alla propria gente e farà la sua parte per favorire il dialogo alla ricerca di soluzioni possibili e concrete per il bene comune.
Melfi, 27 aprile 2020.

+ Ciro Fanelli
Vescovo

 

#chiciseparera

“CHI AMA EDUCA”

COMUNICATO DI MONS. FANELLI

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

COMUNICATO

A SEGUITO DEL TRISTE EPISODIO

AI DANNI DELLA SCUOLA BERARDI-NITTI DI MELFI

 

“Chi ama educa”

 

Il triste episodio verificatosi a Melfi la sera del 21 aprile u.s. ai danni dell’IC Berardi- Nitti ha suscitato nella Comunità di Melfi e dell’intera comunità diocesana di Melfi-Rapolla-Venosa, sentimenti d’incredulità e di rammarico, come testimoniato dai molteplici segnali di vicinanza fatti pervenire da associazioni, esponenti della società civile e da singoli cittadini, al Dirigente Scolastico, prof.ssa Filomena Guidi, ed ai suoi collaboratori.

L’evento colpisce per la modalità con la quale si è consumato, poiché emerge la volontà degli attuatori di voler danneggiare e perfino “schernire” l’istituzione scolastica. Colpisce altresì per il particolare momento storico che stiamo attraversando.

In un periodo di sofferenza globale, di timore diffuso, di smarrimento sociale in cui è importante operare nella costruzione di un nuovo sentiero di solidarietà, di rispetto e di attenzione al bene comune, episodi del genere rappresentano un’ulteriore ferita allo spirito di una comunità.

La scuola resta un baluardo nella costruzione di una comunità umana nuova e viva; pertanto, l’offesa ricevuta non deve assolutamente deprimere, seppur aggrava una situazione già complessa per gli operatori dell’istruzione e dell’educazione.

Occorre invece ripartire e ricostruire in sinergia con le istituzioni e le agenzie educative della comunità, per far comprendere con messaggi nuovi ed inclusivi che la scuola è patrimonio indispensabile per tutte le persone, soprattutto per gli ultimi.

Ad un messaggio distruttivo, occorre che la comunità risponda con messaggi d’amore.

Come ci ricorda san Giovanni Bosco, “chi ama educa”; la scuola deve contribuire a suscitare la speranza, dal momento che educare significa amare il futuro, e a testimoniare l’amore, perché educare è una scelta del cuore, e solo chi ama educa.  La scuola è sinonimo di apertura alla realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. La scuola ci insegna a capire la realtà e a ragionare sul modo di rispondere alle complessità del momento.

La scuola è un luogo di incontro. Perché tutti noi siamo in cammino, avviando un processo, avviando una strada. E’un luogo di incontro nel cammino. Si incontrano i compagni; si incontrano gli insegnanti; si incontra il personale assistente, s’incontra la vita. E noi oggi abbiamo bisogno di questa cultura dell’incontro per conoscerci, per amarci, per camminare insieme, per sentirci uniti nelle avversità.

Come ci ricorda Papa Francesco, “la missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello. E questo avviene attraverso un cammino ricco, fatto di tanti “ingredienti”… tante discipline. In questo modo coltiviamo in noi il vero, il bene e il bello; e impariamo che queste tre dimensioni non sono mai separate, ma sempre intrecciate. La vera educazione ci fa amare la vita, ci apre alla pienezza della vita!”

Quanto sono importanti, oggi, queste considerazioni!

Per questo, è del tutto evidente la straordinaria vicinanza che la Chiesa respira con il mondo della scuola, con il quale elabora ed attua strategie e soluzioni educative per la crescita di ragazzi, giovani e famiglie del nostro territorio.

La scuola e la Chiesa sono naturalmente alleate nella costruzione degli ideali che modelleranno il mondo futuro; è perciò importante comprendere insieme attentamente i mutamenti in atto, coglierne le sfide ed è necessario alimentare lo slancio e la passione verso l’impegno, alto e decisivo, di formare, anche oggi, la persona nella sua integralità.

Pertanto, come Padre e Pastore di questa Diocesi, esprimo i sentimenti di vicinanza dei cuori e d’incoraggiamento alle azioni da intraprendere  a seguito dei fatti successi da parte di tutta la Chiesa locale, del presbiterio, di tutti gli uffici diocesani e di tutte le aggregazioni laicali diocesane (movimenti, associazioni e gruppi); ringrazio l’IC Berardi-Nitti per l’importante lavoro svolto negli ultimi anni nella comunità di Melfi a sostegno di tante famiglie fragili; manifesto la piena solidarietà e la disponibilità della Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa a ricercare strade condivise per la crescita culturale e sociale della nostro territorio , nella reciproca consapevolezza che educare è una forma d’amore privilegiata nei confronti della propria comunità.

Melfi, 26 aprile 2020 – III domenica di Pasqua.

+ Ciro Fanelli

Vescovo