Un ministero tutto relazionale
La visione di Chiesa che, dal concilio a oggi, costituisce l’orizzonte ultimo entro cui si vanno maturando consapevolezze e orientamenti in ordine alle dinamiche proprie della sinodalità, permette di cogliere e interpretare la collocazione e la funzione dei ministri ordinati anzitutto nel e per il popolo di Dio.
È proprio la missione messianica di tale soggetto collettivo a costituire il contesto e la ragione teologica a partire dai quali poter individuare il novum che l’ultima assise conciliare ha riconosciuto come specificità del ministero ordinato. Si tratta di un’unica missione che coinvolge tutti i battezzati e che si realizza per vie molteplici, tante quante sono le forme di vita e di ministeri presenti e operanti nella Chiesa. In un orizzonte del genere, caratterizzato da una ministerialità diffusa e plurale, il ministero della guida non può configurarsi solo come l’esercizio di un potere da esercitare su alcuni sudditi, coinvolti esclusivamente nell’esecuzione di una scelta operata da altri, ma piuttosto deve mostrarsi come l’esercizio di una funzione necessaria e specifica nel e per una missione, realizzata insieme ad altri, che sono protagonisti corresponsabili nella costituzione del soggetto collettivo. In tal senso non è possibile immaginare una figura di ministero ordinato interpretabile in senso assoluto, ossia svincolato da quelle relazioni che fanno emergere la specificità del suo servizio ecclesiale. Nella circolarità di tali relazioni vanno considerate anzitutto quelle dei presbiteri con il vescovo. Quest’ultimo – come afferma il Vaticano I nel terzo capitolo di LG – governa una Chiesa particolare esercitando una potestà, in nome di Cristo, per edificare la comunità, al contempo preservandone l’unità e curando il coinvolgimento attivo di tutti. La sua funzione di leadership non lo colloca in una posizione isolata e frontale rispetto all’intero corpo ecclesiale; posizionato all’interno dello stesso, invece, il suo ministero coinvolge tutti in una dinamica di corresponsabilità, nella promozione della pluralità dei carismi e dei percorsi di vita credente di ciascuno. In modo particolare quello con i presbiteri, suoi primi collaboratori riconosciuti «quali figli e amici» (LG 28), è un rapporto contraddistinto da familiarità e confidenza, presupposti essenziali per esercitare le funzioni di guida in un accordo comune e tenendo fede al bene di tutta intera la Chiesa particolare. Non è un caso che il Vaticano II, a tal proposito, abbia riscoperto il valore del presbiterio per sottolineare la natura comunionale del ministero dei preti, indicando nella via della fraternità sacramentale una forma non autarchica e isolata per l’esercizio dell’autorità e del potere, ma con il vescovo e il collegio dei presbiteri appunto.
Un’acquisizione del genere non può essere data per scontata, soprattutto per le conseguenze da essa derivanti in ordine alla messa in opera di processi e dinamiche ecclesiali che abbiano realmente un respiro sinodale. Nella vita ecclesiale lo stile di un lavoro condotto insieme non è anzitutto il frutto di criteri di efficienza o di razionalizzazione, ma proviene da una corretta interpretazione della cura animarum.
È per il servizio al bene dei fedeli che il lavoro insieme trova la propria giustificazione. Tra l’altro uno stile del genere protegge dalla tentazione di appropriarsi del proprio ministero e del potere che vi è legato. Di non minore importanza è la considerazione che si deve prestare alle relazioni tra ministri ordinati e laici. Questi ultimi partecipano all’unica missione ecclesiale interpretando la specificità della propria identità e condividendo, per la loro parte, l’esercizio della leadership attraverso tutto quello che può contribuire al bene della Chiesa, all’edificazione della comunità e della sua missione. Questa rete di relazioni si alimenta attraverso i contributi specifici che i laici, in modo particolare, possono offrire a favore di percorsi di sinodalità ecclesiale nonché mediante un riconoscimento e una adeguata promozione della dignità e della responsabilità degli stessi nella Chiesa da parte dei ministri. Anche tale ambito relazionale, pur affermato ormai dai tempi del concilio, non pare ancora recepito del tutto nelle consapevolezze ecclesiali e nei processi sinodali, sia per via di forme di esercizio del ministero della guida ancora troppo ingombranti e sia anche per velate e, per certi versi, volute espressioni di assoggettamento all’autorità e al potere dei ministri da parte di laici, abituati piuttosto a una logica di delega. Anche per queste ragioni il tema della leadership è oggi quanto mai decisivo; è necessario conoscerne le potenzialità anche per individuare le vie migliori che rendano praticabile l’autorità e le forme di potere possibili nel Noi ecclesiale.
(Fonte: V. Mignozzi, Tra voi non è così: quale leadership per una chiesa sinodale?, in Centro di Orientamento Pastorale, Redazione web – 28 gennaio 2023)