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EMERGENZA COVID-19: LE INIZIATIVE DELLA CARITAS DIOCESANA

SERVIZIO DI ASCOLTO E SOSTEGNO PSICOLOGICO TELEFONICO

Tel.cell.329.1679931

“LA CONCRETEZZA DELLA CARITÀ: DONARSI E DONARE”

LA DIOCESI DI MELFI-RAPOLLA-VENOSA E L’EMERGENZA COVID-19

 «Non sprecate questi giorni difficili». È l’appello del Papa a ritrovare – in questo periodo in cui l’attenzione agli altri è messa a dura prova – “la concretezza dei gesti quotidiani e delle relazioni”.
In questo tempo in cui la comunità non si può riunire per celebrare insieme l’Eucaristia, per sostenere e alimentare ogni gesto di carità diventa fondamentale la preghiera.
Il Vescovo con la Caritas e gli organismi pastorali diocesani, in questa fase di emergenza sanitaria, rimodulando i servizi per adeguarli alle indicazioni governative, ma senza lasciare indietro le richieste dei più fragili, da’ forma alla «fantasia della carità» che tanto Papa Francesco ci sollecita a realizzare soprattutto in questo tempo di pandemia.
In questa linea sono attive le seguenti dimensioni di intervento per il territorio diocesano:

  1. Prossimità:
  • Il Vescovo e i sacerdoti, ogni giorno, sperimentano il drammatico paradosso di dover restare vicini alla gente senza però correre il rischio di aumentare il contagio; una risposta la trovano nella prossimità digitale, ovvero nel trasmettere in diretta le celebrazioni eucaristiche attraverso i mezzi di comunicazione (Radio Kolbe, Facebook, WhatsApp,).
  1. Ascolto:
    • La Caritas diocesana, attraverso le sue articolazioni diocesane, promuove contatti telefonici diretti con le persone sole.
  1. Accoglienza:
    • La Caritas diocesana continua a Melfi, presso l’Hospitalis, l’accoglienza di tipo familiare per adulti con particolari necessità.
  1. Attenzione:
    • La Caritas diocesana in alcuni paesi della Diocesi, in sinergia e collaborazione con le istituzioni civili territoriali e con le altre realtà locali socio-assistenziali (CRI, Protezione Civile), ha avviato servizi domiciliari di consegna di generi di prima necessità (farmaci, cibo, ecc.).
    • La Caritas diocesana pone attenzione ai bisogni di chi è ricoverato presso gli Ospedali della Zona soprattutto attraverso la raccolta di donazioni finalizzate all’acquisto di attrezzature e materiali sanitari di consumo per i medici e gli altri operatori ospedalieri (mascherine, tute protettive, disinfettanti, ecc…) al fine di curare al meglio i malati e limitare le occasioni di contagio. Tutte le donazioni saranno rendicontate e rese pubbliche al termine di questa emergenza. 
  1. Conforto:
    • In risposta al bisogno psicologico legato alla dimensione della paura e del panico si offre conforto attraverso il sostegno psicologico per chi vive con particolare sofferenza la situazione attuale di emergenza sanitaria.
  1. Contrasto alle povertà
    • La Caritas diocesana vuole aiutare a contrastare la povertà “educativa” attraverso l’attenzione a quelle famiglie con figli in età scolare, che hanno difficoltà a gestire la didattica a distanza, fornendo ausili informatici per chi ne è sprovvisto.
    • La Caritas diocesana vuole aiutare a contrastare la povertà “materiale” attraverso l’offerta di sostegno e di aiuti materiali a favore delle persone in condizioni di marginalità estrema.
  1. Prestito per una “nuova alleanza”
    • La Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa attraverso la Caritas diocesana vuole attivare un Prestito per una “nuova alleanza”: oltre agli aiuti contingenti si provvederà anche ad attivare con la Banca del Credito Cooperativo di Gaudiano di Lavello, il progetto “Un prestito per una nuova alleanza”. Il progetto verrà promosso per sostenere persone, famiglie e piccole imprese in situazioni di temporanea difficoltà economica, prevedendo la possibilità di ottenere un finanziamento fino a 5 mila euro per far fronte alle spese più urgenti.

Invitiamo tutti a moltiplicare la solidarietà, perché siamo certi che – soprattutto in questo tempo difficile per il diffondersi della grave pandemia – condividere la propria vulnerabilità, con chi è vulnerabile rende la nostra comunità uno spazio concreto di testimonianza della carità.
Melfi, 24 marzo 2020

Dott. Giuseppe Grieco                                                                                                                                         + Ciro Fanelli
Direttore                                                                                                                                                                      Vescovo

Per far fronte a questa emergenza, che vede ancora una volta esposte le persone più fragili, la Caritas Diocesana rinnova a tutti l’appello alla solidarietà concreta invitando a sostenere le iniziative e gli interventi mirati della Diocesi in favore delle persone in difficoltà e in condizioni sempre più precarie. È possibile sostenere gli interventi, utilizzando il bonifico bancario (causale “Emergenza Coronavirus”) tramite:
INTESTAZIONE: DIOCESI DI MELFI RAPOLLA VENOSA CARITAS DIOCESANA
BANCA: BANCA CREDITO COOPERATIVO DI GAUDIANO LAVELLO – FILIALE DI MELFI
IBAN: IT 39 O 08554 42100 000000 403566

#chiciseparera

SETTIMANA SANTA

CELEBRAZIONI PRESIEDUTE DAL VESCOVO

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CALENDARIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
PRESIEDUTE DAL NOSTRO VESCOVO
S.E. MONS. CIRO FANELLI

  • DOMENICA DELLE PALME
  • ore 19.00: Messa con la benedizione dei rami di ulivo (i fedeli, dalle loro case, si potranno unire alla celebrazione, tenendo in mano anch’essi rami di ulivo o di altre piante, che saranno in questo modo benedetti).
  • GIOVEDI SANTO
  • ore 11.00: Adorazione eucaristica nella giornata sacerdotale, dell’Eucaristia e dell’amore fraterno (contemporaneamente in tutte le Chiese sarà esposto – a porte chiuse e senza concorso di popolo – il Santissimo Sacramento per un’ora di adorazione da parte del Parroco e dei presbiteri che collaborano in parrocchia; alle ore 12.00 il suono a distesa di tutte le campane delle chiese darà il segno di questa comunione di preghiera attorno al mistero eucaristico);
  • ore 12.00: in comunione con il Papa, preghiera del Padre Nostro e dell’Angelus;
  • ore 19.00: Messa in Coena Domini.
  • VENERDI’ SANTO
  • ore 9.00: Ufficio delle Letture e Lodi mattutine;
  • ore 17.00: Via Crucis;
  • ore 19.00: Celebrazione della Passione del Signore (in questa giornata tutti i fedeli sono invitati ad esporre, sui balconi o davanti alle finestre delle loro case, possibilmente con un drappo di colore rosso, un Crocifisso, segno della nostra fede e prezzo del nostro riscatto).
  • SABATO SANTO
  • ore 9.00: Ufficio delle Letture e Lodi mattutine;
  • ore 21.30: Messa della Risurrezione nella Veglia Pasquale.
  • DOMENICA DI PASQUA
  • ore 19.00: Messa della Risurrezione del Signore

    Tutte le celebrazioni presiedute dal Vescovo saranno trasmesse  sul territorio della Diocesi in diretta streaming dal profilo facebook del Vescovo: Palazzo Vescovile Melfi (Radio Kolbe)

 

LETTERA DI MONS. FANELLI AI SACERDOTI

IN OCCASIONE DEL GIOVEDI' SANTO 2020

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI–RAPOLLA-VENOSA

LETTERA AI SACERDOTI

IN OCCASIONE DEL GIOVEDÌ SANTO 2020

 

Carissimi fratelli presbiteri, diocesani e religiosi,

Vi scrivo questa lettera, oggi Mercoledì Santo  – nell’ora in cui avremmo dovuto celebrare la Messa del Crisma –  per unirmi spiritualmente a ciascuno di voi e per condividere alcuni pensieri sul sacerdozio e sul mistero grande della nostra Fede, la Pasqua del Signore, che, quest’anno, celebreremo in modo insolito e sofferto, nel rispetto delle misure sanitarie che ci impongono di celebrare anche il Triduo Pasquale “senza popolo e con le porte delle nostre chiese chiuse”.

Vi scrivo alla vigilia del Giovedì Santo, giornata sacerdotale per eccellenza, soprattutto per dirvi ancora una volta tutta la mia vicinanza fraterna, il mio incoraggiamento e la mia stima grata.

Come già vi ho comunicato precedentemente, quest’anno la Messa Crismale, di comune accordo con i confratelli Vescovi di Basilicata, è rinviata: la celebreremo, infatti, non appena si concluderà questo periodo di grave emergenza sanitaria, che sta diventando, purtroppo, anche emergenza economica e sociale.

Tutti desideriamo che questo tempo di prova si possa concludere quanto prima; il comune desiderio che la pandemia possa cessare sia trasformato sempre di più in una intensa preghiera di intercessione alla Divina Misericordia per mezzo del Cuore immacolato e addolorato di Maria.

La Liturgia del Giovedì Santo, con le parole e i gesti sacramentali, ci fa rivivere l’ultima Cena di Gesù: mistero dell’umiltà di Cristo e del suo amore per noi nella lavanda dei piedi; testamento del suo comandamento nuovo di amarci gli uni gli altri come egli ci ha amato; memoriale dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio per rendere presente fino alla sua venuta il sacrificio della nuova Alleanza.

Nella celebrazione della Messa nella Cena del Signore, che apre il Triduo Pasquale, tutti faremo memoria del giorno della nostra Ordinazione sacerdotale. Ricorderemo anche il cammino vocazionale che ad essa ci ha condotto, che per ognuno di noi assume il volto delle tante persone – dai nostri genitori agli educatori – che ci hanno accompagnato nelle diverse tappe della nostra vocazione sacerdotale. La decisione per il Signore, fatta in piena libertà e con il desiderio di servire la Chiesa, è una scelta che è per sempre, perché fondata sulla fedeltà di Dio! E’ una decisione di vita irrevocabile dinanzi a Dio, che ogni giorno sentiamo il bisogno di rinnovare; l’esigenza di rinnovare le promesse sacerdotali sgorga spontaneo dal nostro cuore soprattutto nel giorno del Giovedì Santo; la decisione vocazionale per il sacerdozio, in quanto scelta di seguire Cristo,  povero, casto e obbediente, evoca sempre anche la gioia, che non deve spegnersi nel nostro cuore neppure nei giorni bui o difficili, quando siamo chiamati ad attraversare le valli oscure della nostra vita presbiterale.

Quest’anno la celebrazione del Giovedì Santo, purtroppo, non ci farà sentire la vicinanza calda e confortante del nostro popolo, delle famiglie, dei bambini, dei giovani e dei nostri cari anziani, sempre presenti e non è stata preceduta dalla gioia di incontrarci come presbiterio attorno all’unica mensa eucaristica, circondati da tutte le componenti del popolo di Dio, per rinnovare comunitariamente gli impegni assunti con la sacra Ordinazione e per accogliere gli Oli santi, con i quali ungere il nostro popolo, anch’esso partecipe dell’unico sacerdozio di Cristo.

Domani tutti celebreremo fondamentalmente da soli, come stiamo facendo già da un mese, anche se affiancati da qualche figura ministeriale. Celebreremo da soli, ma non in solitudine! La Chiesa, popolo di Dio, infatti è sempre spiritualmente viva e presente; essa è presente sempre, sia pure in modo non visibile, in ogni celebrazione dei divini misteri.

Questo tempo di prova, per ragioni di giustizia e di carità pastorali, deve farci sentire moralmente impegnati ad essere – come afferma sant’Agostino – “la coscienza vigile dei fedeli”. Questa espressione di sant’Agostino intende richiamare la necessità di non aver timore o ritegno di abbassarci – in ogni modo – a livello degli umili e semplici, scelti e prediletti da Dio (cfr. Mt 11, 25) pur di condurli all’intimità con il Signore. “I sacerdoti, diceva s. Faustina nel suo Diario – sono ceri accesi per illuminare le anime”.

La celebrazione del Giovedì Santo ci ricorda che la comunione è la sostanza del nostro ministero. Essa è anche il vero aiuto alla nostra vocazione sacerdotale in ogni sua implicanza sacramentale, pastorale e affettiva. La comunione è certamente un dono del Signore, ma è anche un’esigenza legata al sacramento dell’Ordine e un compito affidato all’impegno generoso di ognuno! Nella celebrazione della Messa nella Cena del Signore Gesù ci dona nuovamente questo grande dono. La Chiesa raccomanda sempre a tutti i sacerdoti, in quanto ministri dell’Eucaristia, di vivere questa tensione comunionale non solo in modo funzionale o formale, ma come vero segno dell’amore a Cristo, alla Chiesa e ai confratelli nel presbiterio.

La celebrazione della Pasqua, per noi come per i primi discepoli, è anche attesa dello Spirito, unica sorgente di ogni dono di grazia. Lo Spirito va invocato sempre nella certezza che Egli è donato, se si ama la Chiesa, se si è compaginati dalla carità. Sant’Agostino, dall’alto della sua dottrina, affermava con forza: “Siamo convinti o fratelli – diceva –   che uno possiede lo Spirito Santo nella misura in cui ama la Chiesa di Cristo?”. Il Vaticano II nel promuovere la santificazione dei presbiteri l’ha chiaramente ancorata all’esercizio del ministero, ma essa non si dà efficacemente se non nella piena comunione ecclesiale e nella fraternità presbiterale.  Il presbitero, sull’esempio di che ha dato tutto di sé amandoci di amore eterno, deve darsi tutto nel servizio pastorale per l’edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa. La celebrazione quotidiana dell’Eucaristia è la fonte e il culmine di una vita sacerdotale che vuole configurarsi a Gesù sommo ed eterno sacerdote.

Proprio pensando alla celebrazione eucaristica e al nostro ministero, voglio condividere fraternamente con voi una riflessione, che mi sta accompagnando in questi giorni. La nuova edizione in italiano del Messale Romano, approvata dai Vescovi nell’Assemblea di novembre 2018, è un evento che non mancherà d’interpellarci a livello liturgico. In particolare, ci porterà ad interrogarci ancora sulla effettiva recezione della riforma liturgica nella nostra Chiesa a più di cinquant’anni dal Concilio. Tra i diversi aspetti, desidero richiamare alla vostra attenzione l’esigenza di ridare un chiaro significato teologico-pastorale ai cosiddetti “fuochi liturgici” presenti nella zona absidale di un’aula liturgica, ovvero l’altare, l’ambone, la sede. Soffermandomi sulla “sede presidenziale” mi domandavo: io, nel mio ruolo di presidente dell’azione liturgica, colgo e faccio comprendere alla comunità il valore teologico della “sede presidenziale” dalla quale presiedo l’Eucaristia e guido le altre celebrazioni liturgiche?

La “sede”, probabilmente, rispetto agli altri fuochi liturgici, l’altare e l’ambone, non riceve sempre una particolare considerazione teologica e pastorale, se non in una prospettiva funzionale. La sede, nell’assetto liturgico di una Chiesa, è la “cattedra”. Gesù nel Vangelo di Matteo, in analogia alla “cattedra” di Mosè, ne parla in relazione agli scribi e ai farisei (Cfr. Mt 23, 16), ammonendo i suoi discepoli a fuggire da ogni forma di ipocrisia e di prevaricazione, tipiche di chi ama sedersi in cattedra per primeggiare e sovrastare sugli altri. Per Gesù la sua stessa vita è l’unica luce per guardare a tutte le “cattedre” nella comunità cristiana. Infatti i punti prospettici da cui guardare l’ufficio del presiedere all’interno della comunità è duplice: uno dal basso o uno dall’alto. La prospettiva dal basso è quella di chi lava i piedi (cfr. Gv 13, 1 -15) quella dall’alto, è la prospettiva di chi è sulla croce (cfr. Fil 2, 5-8). Questa luce dà forma al servizio dell’autorità nella Chiesa. Infatti, la “cattedra” dalla quale Gesù si è pienamente manifestato come il vero Pastore e la guida del suo popolo è la croce (cfr. Gv 12, 24-26; 32-33).

Noi siamo chiamati ad offrire il nostro servizio di presidenza a favore della comunità soltanto nel nome di Cristo e con il suo stile. Il nostro presiedere è sempre un servire.

C’è una bellissima preghiera del santo card. Newman, che potremmo fare nostra non solo nei giorni del Triduo Pasquale, perché può aiutarci a vivere nella carità di Cristo il servizio di presidenza liturgica e pastorale delle nostre comunità:

“Signore Gesù, nel prendere possesso di questa sede, chiedo a te che anzitutto tu prenda possesso di me al punto che ogni persona che accosto possa sentire la tua presenza in me. Rimani in me, Signore. Allora risplenderò del tuo splendore e potrò fare luce per gli altri, con lo sfolgorare visibile dell’amore che il mio cuore riceve da te”.

Questa preghiera del card. Newman è un chiaro invito per noi Pastori a fare del nostro ministero un progressivo crescere nella carità totale e gratuita (cfr. Fil 2,21) e a cercare unicamente le cose di Gesù Cristo. Ogni giorno, infatti, mi ricordo nella preghiera personale, quasi come invito ad un permanente esame di coscienza, delle parole di sant’Agostino: “non siamo vescovi per noi, ma per coloro ai quali dispensiamo la parola e il sacramento del Signore”. E ancora: “mentre mi sgomenta ciò che sono per voi, mi conforta ciò che sono con voi. Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano: quello è il titolo di un impegno ricevuto, questo invece titolo di grazia; quello fonte di pericolo, questo fonte di salvezza”.

Il pastore – ogni pastore nella Chiesa – è chiamato a testimoniare il suo amore a Cristo prendendosi cura del gregge non per vile interesse ma di buon animo e facendosi modello del gregge (1 Pt 5, 1-4). Così, il pastore, unito a Cristo si nutrirà del nutrimento stesso di Cristo e con esso alimenterà il suo gregge. Questa è la carità che viene chiesta al Pastore.

Facciamo nostre le parole del santo vescovo di Ippona: “per voi siamo come dei pastori, ma, sotto quel pastore, siamo con voi delle pecore. Da questo posto, siamo per voi come dei maestri, ma, sotto quell’unico Maestro, in questa scuola siamo vostri condiscepoli”.

Tutti noi, fratelli carissimi, soprattutto in questi giorni santi del Triduo Pasquale, dove ci è detto con chiarezza dalla Liturgia che il nostro ministero non è una funzione, ma nasce e si regge come unzione, avvertiamo nella nostra coscienza il timore d’essere pastori e percepiamo nel fondo dell’anima la gioia di essere cristiano (cfr. A. Trapè, Il sacerdote uomo di Dio al servizio della Chiesa, Roma 19852, 128).

Facciamo, quindi, sgorgare dal nostro cuore un grande inno di lode alla Misericordia di Dio per il grande dono del sacerdozio che ci è stato fatto mediante la sacra Ordinazione. Da quel giorno, e per sempre, il Signore si è fidato di noi e si è affidato a noi. La Chiesa, a sua volta, obbediente al comando del Signore, attraverso il rito dell’Ordinazione, ha posto tra le nostre fragili mani il grande mistero dell’Eucaristia, il Corpo sacramentale del Signore, e il grande Mistero della Chiesa stessa, il Corpo mistico di Cristo!

Proprio per queste ragioni e per esprimere anche attraverso un segno visibile la profondità del mistero di comunione che ci lega e ci pone a servizio di tutto il popolo santo di Dio che è in Melfi-Rapolla-Venosa, vi invito ad unirvi a me, domani Giovedì Santo, nel condividere, privatamente, nelle nostre chiese (a porte chiuse) un’ora di adorazione eucaristica, dalle ore 11,00 alle 12,00. Invitiamo anche i nostri fedeli ad unirsi a noi, da casa, a questa preghiera di adorazione eucaristica sacerdotale e per tutti i sacerdoti. L’adorazione che guiderò dalla Cappella dell’Episcopio di Melfi, come per tutte le celebrazioni in questo periodo di pandemia, sarà trasmessa in diretta sul profilo facebook Palazzo Vescovile Melfi e su Radio Kolbe.

Carissimi, approfitto di questa circostanza per farvi avere, in allegato a questa mia lettera, un bellissimo testo di Papa Benedetto XVI, l’omelia che egli pronunciò il 29 giugno 2011, in occasione dei suoi 60 anni di sacerdozio. Papa Benedetto, in quella circostanza ha offerto una bellissima riflessione a partire dalle parole dell’evangelista Giovanni “Non vi chiamo più servi, ma amici” (Gv 15, 15). Accludo l’omelia a questa mia lettera, per una vostra lettura spirituale; ve la segnalo semplicemente perché è molto bella e ricca di spunti. A me ha fatto tanto bene.

In questo Giovedì Santo, spiritualmente uniti al popolo santo di Dio, che è stato affidato alle nostre cure, ringraziamo il Signore per il dono del Sacerdozio ministeriale, dell’Eucaristia e del comandamento nuovo!

Carissimi,

Vi assicuro che porterò sull’altare voi stessi, le vostre comunità, le gioie e le sofferenze di ciascuno di voi. Unitevi a me con la preghiera e con l’ascolto della Parola di Dio e gusteremo la gioia che “pur essendo molti siamo un solo corpo in Cristo” (Rm 12,5).

I giorni del Triduo pasquale devono spronarci a vivere questo momento di difficoltà nel silenzio interiore per “rientrare in noi stessi” e riappropriarci dell’essenziale della nostra vita sacerdotale, a prescindere dalle circostanze e dagli eventi. Questo deve essere il tempo di una “rinnovata speranza”. Solo la Speranza che nasce dalla Risurrezione può dare – sempre e a tutti – il coraggio di operare e di proseguire nel nostro impegno di edificare la Chiesa. Si tratta di una “speranza certa” – come dice san Francesco – quella di cui parliamo, perché Gesù Risorto ha distrutto la morte e ha vinto il male: Egli, morto in croce per amore e risorto per la nostra santificazione, è l’unica speranza del mondo: ieri oggi e sempre. Sia questa la ragione ultima di ogni sforzo e impegno spirituale e pastorale; sia anche questa la motivazione profonda per il tempo della ripresa, che ci auguriamo possa iniziare quanto prima.

Ho apprezzato molto che, nei giorni di “clausura forzata” impostici dall’emergenza sanitaria, ognuno di voi, nelle forme e nelle modalità che ha ritenuto più opportune, si sia sforzato di essere accanto alla propria comunità. Consentitemi un ricordo particolare ai più anziani tra noi: si sentano pensati e voluti bene. Non scoraggiamoci!  Non lasciamoci rubare la speranza. Prepariamoci a ripartire con entusiasmo e ad aiutare la gente a ripartire bene. Teniamo monitorato il tessuto sociale e relazionale delle nostre comunità: le eventuali tensioni, le possibili situazioni di disagio e le emergenti difficoltà economiche. Ripartire significherà sicuramente riprendere programmazioni e quant’altro, ma ripartire deve significare soprattutto puntare sulla carità sia nel senso di solidarietà e sia nel senso di ascolto, vicinanza, pazienza e comprensione.

Concludo, con un augurio cordiale e un grazie sincero, a tutti e a ciascuno perché ci siete e perché mediante le vostre persone, le vostre fatiche e le vostre sofferenze, il Signore continua a prendersi cura del suo popolo, che ha redento a prezzo del suo Sangue prezioso.

Il Signore ci benedica e ci faccia gustare in Lui, oggi e sempre, la gioia del Sacerdozio.

Melfi, 8 aprile 2020 – Mercoledì Santo

Ciro Fanelli
Vescovo

#chiciseparera

La solitudine di Gesù nella Passione

RIFLESSIONI DI MONS. FANELLI PER LA DOMENICA DELLE PALME

Carissimi,

 Un disegno di salvezza e un progetto d’amore

  1. “Ora si compie il disegno del Padre, fare di Cristo il cuore del mondo”: queste parole di una delle antifona della Liturgia delle Ore ci aiutano a cogliere negli eventi della vita di Cristo un disegno di salvezza (cfr. Ef 3, 5 e ss), che è un progetto d’amore (cfr. Gv 3, 16) che abbraccia la vita di tutti gli uomini di tutti i tempi (cfr. Ef 1, 3) e che raggiunge anche la nostra generazione duramente provata dalla pandemia.

Ci raggiunge in un tempo di grande dolore per le tante vittime e di preoccupazione sia per il numero elevato dei contagi e sia per la difficile situazione in cui si trovano tante famiglie che vedono diminuire la sicurezza del lavoro (cfr. EG 192).
Con questa celebrazione – che a causa delle restrizioni imposte per contenere la pandemia stiamo vivendo con grande sofferenza senza concorso di popolo –   entriamo nei giorni “santi” della passione in cui Dio, nel suo Figlio Unigenito, muore affinché tutti gli uomini abbiano, già su questa terra, la gioia della vita vera (Gv 10, 8; 15, 11).
I giorni della passione – forse anche perché celebrati in questo contesto surreale creato dalla pandemia –   sono i giorni in cui mi ritornano alla mente, con particole stridore, le parole del folle di cui parla il filosofo Nietzsche in “Gaia scienza” che si illudeva di veder nascere dalla morte di Dio, l’uomo nuovo, il super uomo. Così dice il filosofo:
“In un luminoso mattino il folle piomba in piazza del mercato con la sua lampada gridando: «Dov’è andato Dio? Noi lo abbiamo ucciso, voi e io!… Le nostre mani grondano del suo sangue. Non sentite il lezzo della sua putrefazione? Dio è morto e resterà morto!… Chi uccide Dio diventerà Dio lui stesso!”.
Dio è morto, dice il folle! Ma le sue parole, mentre pretendono – illudendosi – di affermare e inaugurare definitivamente la morte dell’idea di Dio o della possibilità di pensarne l’esistenza, in realtà annunciano una vera tragedia legata ad un’altra verità, che l’uomo purtroppo sperimenta ogni qualvolta cancella deliberatamente Dio dal suo orizzonte: quando si cancella Dio si apre la via all’auto-distruzione dell’uomo stesso! Tanto che si può affermare con il riscontro della storia che uccidere Dio è il più terribile dei suicidi, in quanto dove Dio muore, muore l’uomo (R. Cantalamessa). Dio, infatti, muore ogni qual volta l’uomo, ogni uomo, è calpestato nella sua dignità!

La cronaca di una tragica morte e l’annuncio di salvezza

  1. L’evangelista Matteo nel lungo racconto della Passione, se da una parte è attento ad offrirci la verità storica di fatti della passione e morte di Gesù, ovvero la fedele narrazione delle circostanze della crocifissione, dall’altra vuole mostrarci che questa verità storica è strettamente legata all’annuncio di salvezza e di misericordia che sta al centro del cristianesimo. Il racconto della Passione è, infatti, il grande kerigma d’amore e di grazia manifestato da quei tragici fatti realmente accaduti a Gesù nella città santa di Gerusalemme sotto Ponzio Pilato.

Il racconto della Passione è sia annuncio del kerigma di salvezza e sia manifestazione e rivelazione del vero senso della storia; al centro del messaggio cristiano c’è la certezza che è Cristo crocifisso che guida la storia, anche la nostra storia, nel qui ed ora di questo tempo di pandemia, caratterizzato da dolore, paura e preoccupazione.
La morte di Gesù è una morte infamante, premeditata e deliberata. Gesù giunge a questa morte in una profonda solitudine: egli è solo; solo in balia di soldati, che contro di lui sfogano tutta la loro rabbia e la loro crudeltà.
Ma la crocifissione non è mai presentata dai Vangeli come un evento tragico che Gesù subisce passivamente! Egli, rappresentante dell’umanità umiliata e offesa, va liberamente verso la morte, offrendo la sua vita innocente in riscatto per tutti, quale segno di adesione totale alla volontà del Padre e di amore per l’umanità.
Gesù muore per la nostra salvezza: nessuno gli toglie la vita, ma è Gesù stesso che la offre da se stesso, perché egli ha il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo (cfr. Gv 10, 18). Il verbo offrire è la “cifra” per comprendere la sua morte. Nel suo morire Gesù realizza pienamente la sua missione di pastore di Israele: proprio attraverso l’immolazione della croce “egli si rivela come il vero pastore: “Io sono il buon pastore… Io offro la mia vita per le pecore”, dice Gesù di se stesso (Gv 10, 14 e ss.). “Ma Gesù va oltre, egli, il Dio vivente, è divenuto lui stesso agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati e uccisi” (cfr. Benedetto XVI, Omelia in occasione della santa messa per l’inizio del ministero petrino di vescovo di Roma, 24 aprile 2005).

 Sequenze di una morte violenta

  1. Il racconto della passione secondo Matteo è scandito in sette sequenze che fotografano gli snodi essenziali del drammatico e perverso gioco a cui Gesù fu sottoposto dal potere giudaico, da Pilato e – quasi in un crescendo di incoscienza – dalla folla di Gerusalemme, che lo aveva accolto osannante.

Ecco le sette sequenze:

  • I trenta danari: il prezzo di un tradimento e di una ingiustizia;
  • La cena, l’ultima, che ha sulla mensa il pane delle parole dette da Gesù, che sono più di un testamento, sono rivelazione di senso e profezia di vita nuova;
  • Il Getsemani: luogo della preghiera e del dolore, ma soprattutto luogo della decisione;
  • Il Sinedrio, teatro di un potere religioso, corrotto e compromesso, che mette in scena una cinica farsa orchestrata contro la verità e la misericordia;
  • Il tribunale di Pilato, spazio della vigliaccheria elevata a difesa di un potere di menzogna e di ingiustizia;
  • La crocifissione, la morte violenta di un uomo giusto nella solitudine e nell’abbandono più profondo;
  • La tomba, che fa paura a chi costruisce il suo potere sulla menzogna, sulla corruzione e sulla violenza.

 Gesù solo, ma libero
4. La narrazione della passione è il racconto della morte violenta e cruenta del Maestro di Galilea, uomo giusto e innocente; lasciato solo, da tutti; ma la morte di Gesù di Nazareth è una morte che, per le modalità con cui Gesù l’ha accolta ed offerta, ha cambiato il volto della morte (R. Cantalamessa). Questa è la ragione per la quale, fino alla consumazione dei secoli, la morte di Gesù verrà sempre ricordata, nonostante le nostre umane banalizzazioni e superficialità che, purtroppo, ci caratterizzano nell’approccio a questo grande mistero.
La morte di Gesù è il momento più alto di senso e di autoconsapevolezza della sua vita; quella tragica morte trova piena luce solo dalla sua stessa vita: dalle sue parole e dalle sue opere. L’uomo crocifisso è, infatti, colui che ha rivelato che Dio è Padre, che Dio è amore; quel crocifisso è l’uomo che “passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10, 38), è il Maestro che con la sua parola e con le sue opere ha aperto all’umanità la porta della vera vita e della gioia piena (cfr. Gv 10, 8; 15, 11) ed ha “donato” ai suoi discepoli il grande comandamento dell’amore (cfr. Gv 15, 12).
Gesù nelle ore della passione è presentato dagli evangelisti come l’uomo lasciato solo. Egli è solo già nel momento in cui viene accolto trionfalmente dalla folla di Gerusalemme. La solitudine di Gesù è il filo rosso che attraversa tutti i momenti della passione.
Ma perché Gesù è solo?
Egli è solo innanzitutto perché sente l’amarezza del tradimento da parte dei suoi discepoli, a cui egli non ha fatto mai mancare nulla e che aveva amato sempre con la tenerezza e la premura di una madre. Infatti, Gesù viene tradito proprio da coloro che egli aveva curato come un buon pastore, che stringe al suo petto le pecore del suo gregge, specialmente quelle ferite e deboli. In questa amara solitudine Gesù si è lasciato accompagnare dalle parole del salmo: Anche l’amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno” (Sal 40, 10).
Gesù è solo, anche perché sente gravare sulle sue spalle innocenti il macigno dell’ingiusta condanna.
 Ma Gesù è solo anche perché avverte l’ingratitudine di tutti, che ha trasformato gli amici e i confidenti in avversari: “amici e confidenti, hanno levato il calcagno contro di Lui; se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa” (Sal 54,15).

 La solitudine di Gesù ci coinvolge e ci interpella

  1. La solitudine di Gesù nelle ore della Passione non è soltanto storica e psicologica, ma è anche una solitudine “mistica”, che ci coinvolge e ci interpella. Questa solitudine mistica di Gesù deve essere colmata dalla posizione che noi oggi assumiamo rispetto alla sua croce! La croce che accoglie “l’uomo dei dolori” invoca accanto sé la consolante presenza di amici veri perché è gesto supremo di amore gratuito: “ Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.  Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi!” (Gv 15, 13-15).

La vita cristiana è nella sua essenza più profonda intimità con Cristo; essa cresce e si rafforza nella misura in cui questa intimità con Gesù genera gli atteggiamenti contrapposti a quelli che hanno determinato la tragica solitudine della passione: la fedeltà, la giustizia, la gratitudine.
Questa dinamica è propria della vocazione cristiana, che come quella dei primi apostoli di Gesù (Gv 1, 35-51), è aspirazione a vivere in amicitia Christi (Beato Aelredo di Rievaulx).
La vita cristiana è anelito ed esperienza ad “abitare con il Maestro” (Gv 2, 38-39) insieme ai fratelli come in una comunità di amici. La capacità di accoglienza universale di ogni uomo e di ogni donna ne è il frutto maturo. L’accoglienza dell’altro diviene così l’incarnarsi dell’amore di Cristo mediante il quale egli plasma in loro un nuovo stile di vita (2 Cor 5, 14).
I discepoli di Gesù nel contemplare il mistero della Croce rafforzano in essi l’esperienza di sentirsi amati, perdonati e accolti da Gesù. La croce è la cattedra da cui Gesù rivela, insegna e dona la misericordia di Dio. Dalla Croce egli è per tutti e per ciascuno il Pastore buono e bello che offre la propria vita per le sue pecore e dalla quella croce i suoi discepoli si sentiranno spinti ad imitarlo in un’accoglienza disinteressata e universale tanto da essere capaci di portare, a loro volta, gli altri sulle spalle e a stringerli al petto come fa il buon Pastore (cfr. Fil 2, 1-11), con ogni pecora del gregge.

 La forza della debolezza
 Questo stile genera la cultura dell’inclusione e della cura dell’altro. In questo modo si potrà sconfiggere la contrapposta cultura dello scarto e dell’indifferenza (cfr. Lc 10, 25-37). Questa è la forza del cristianesimo, la forza della debolezza che si impone in ogni situazione come “tenerezza combattiva” (EG 85), che sgorga da un’esperienza sacramentale e mistica che porta ogni vero cristiano a dire con san Paolo “non sono più io che io vivo ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).
La contemplazione di Gesù che in solitudine va verso la crocifissione ci aiuta a riconoscere in lui i tratti dell’agnello mansueto che viene portato al macello (cfr. Ger 11, 19). Da questa contemplazione scaturisce la consapevolezza che “non è il potere che redime, ma l’amore”, verità che sta al centro del messaggio evangelico! “Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore” (cfr. Benedetto XVI, Omelia in occasione della santa messa per l’inizio del ministero petrino di vescovo di Roma, 24 aprile 2005).
Noi, però, soffriamo per questo stile paziente di Dio. Il suo ritardo, segno della sua infinita misericordia, noi lo leggiamo, invece, come indifferenza e disinteresse. Ma pensando e dicendo questo noi dimentichiamo che “il mondo viene salvato dal crocifisso e non dai crocifissori”: Il mondo, infatti, è redento dalla pazienza misericordiosa e salvatrice di Dio.
La “tenerezza combattiva”, che Gesù richiede ai suoi discepoli, era tutta presente nel cuore di sua Madre, che era rimasta in piedi dinanzi al dramma della Croce di suo Figlio (cfr. Gv 19, 25) senza abbandonarlo e senza piegarsi. La fortezza di Maria risplende in modo particolare nei suoi occhi ed ha la sua radice profonda nel cuore. Questa “tenerezza indomita”, che non si rassegna dinanzi al male e che risponde al male con il bene è la grazia da impetrare per tutti noi in questo giorno di gloria e di passione, nei prossimi giorni della settimana santa.
In questi giorni santi chiediamo a Dio Padre che ci doni questi atteggiamenti di Maria, la donna della nuova Alleanza, che è rimasta fedele al disegno di Dio fino al momento del sacrificio supremo della morte di suo Figlio.
Il Signore ci doni questi occhi e questo cuore: occhi che amano e cuore che vede.
Gli occhi di Maria nei giorni dolorosi della passione di suo Figlio hanno visto tutto               il tradimento  nei  confronti  di   Gesù, tutta  l’ingiustizia   che è   stata         scaraventata su  di Lui e tutta l’ingratitudine di cui era colmo l’amaro calice che Gesù ha dovuto bere, fino all’ultimo sorso. Ma se gli occhi di Maria hanno amato tutti, anche i crocifissori, il suo cuore, invece, già allenato a saper leggere le necessità degli altri, riusciva a leggere nell’animo di quella gente, strumento di tale martirio, il grande bisogno di perdono e di misericordia (cfr.Gv 2, 3).
Perciò, miei cari, dinanzi al grande mistero della passione di Cristo, rivelazione di un amore “senza misura”, professiamo la nostra fede con le parole di san Giovanni Apostolo:
Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.
Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi
(1 Gv 1, -10).
 Carissimi, solo camminando con Gesù nella luce della sua amicizia, noi sperimentiamo con certezza ciò che è bello e ciò che libera. Apriamo, pertanto, come Maria, ai piedi della Croce, le porte del nostro cuore a Lui e troveremo la vera vita e la gioia piena.

Melfi, 5 aprile 2020 – Domenica delle Palme

Ciro Fanelli
Vescovo

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